Rita Atria, la storia della settima vittima di via D’Amelio

di Alice Marchese


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Simbolo della lotta alla mafia e testimonianza della volontà di riscatto. È la storia di Rita Atria, la settima vittima dei sopprusi mafiosi. Oggi è una giornata estremamente solenne: ricorre il trentennio delle stragi mafiose, in particolar modo quella che colpì e uccise il noto magistrato Paolo Borsellino in Via D’Amelio. Insieme a lui persero la vita cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Rita Atria intrecciò un rapporto particolarissimo con il giudice Borsellino, pertanto alla sua morte ogni speranza venne infranta. rimasta un simbolo della lotta alla mafia e della volontà di riscatto. Una ragazza di diciotto anni che sceglie la morte come protesta contro i soprusi mafiosi e come testimonianza perenne della volontà di riscatto di un intero popolo.

Chi è Rita Atria

Rita Atria nasce a Partanna, provincia di Trapani, nel 1974, da Vito e Giovanna Cannova, lui pastore e proprietario di sette ettari coltivati a vite e ulivo, apparteneva a una cosca mafiosa del trapanese. Anche il figlio Nicola, di dieci anni più grande di Rita, apparteneva alla stessa cosca. È la storia di una ragazza di diciotto anni che decide di morire. La sua scelta emblematica simboleggia la rivolta contro questo sistema.

Nel 1985 Vito viene ucciso. Nel 1991 anche lui viene ucciso, all’età di ventisette anni. A questo punto, Piera Aiello (Partanna 1967), vedova di Nicola denuncia i due killer e collabora con la polizia, trasgredendo la legge dell’omertà. E, sotto protezione, viene trasferita a Roma.

Rita Atria e Paolo Borsellino

Dopo quanto accade con Piera Aiello, Rita Atria va a Marsala e presentatasi al Procuratore Paolo Borsellino gli rivela tutti i segreti della cosca cui appartenevano il padre e il fratello. Da qui inizia una fitta collaborazione col Procuratore Borsellino, al quale Rita si affeziona. Le sue dichiarazioni porteranno all’arresto di decine di mafiosi e alla loro condanna. Verrà minacciata e non avrà l’appoggio della madre, la quale si schiera contro di lei. Verrà trasferita a Roma con nuovi documenti. Il diario di Rita Atria è una preziosissima testimonianza. Alla morte del magistrato, lei scriverà: “Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Prima di combattere la mafia devi farti un esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combatterla nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci. Quelle bombe in un secondo spazzarono via il mio sogno, perché uccisero coloro che, col loro esempio di coraggio, rappresentavano la speranza di un mondo nuovo, pulito, onesto. Ora tutto è finito. Borsellino sei morto per ciò in cui credevi, ma i osenza di te sono morta”.

Rita si suicida gettandosi dal quinto piano del palazzo dove l’aveva nascosta la polizia, nella Via Amelia di Roma.

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