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Gender gap, gli incentivi alle imprese contro le discriminazioni di genere
Secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Jobpricing il differenziale di retribuzioni tra uomini e donne pesa per oltre 3.500 euro. Obiettivo del Pnrr: Via al bollino di parità: le imprese guadagnano uno sconto contributivo se certificano l’equo trattamento delle dipendenti.
Al via agli incentivi alle imprese contro le discriminazioni di genere
Tra Natale e Capodanno si è completato l’incastro delle tessere del puzzle per incentivare le imprese a certificare che nella loro organizzazione non ci sono discriminazioni di genere. Una prassi che inizia a entrare nelle stanze del comando delle aziende italiane, vuoi perché ora ci sono sgravi contributivi a supporto di questa scelta, vuoi perché si fa strada una maggiore consapevolezza dettata anche da esigenze di reputazione.
Il Gender pay gap pesa 3.500 euro
Considerando il solo dato degli stipendi, che è il più evidente ma solo uno degli ambiti in cui si manifesta il gender gap, dall’ultimo rapporto dell’Osservatorio Jobpricing emerge che in Italia è come se le lavoratrici iniziassero a esser pagate l’11 febbraio, lavorando regolarmente dal 1° gennaio.
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Nel 2021, infatti, il pay gap calcolato sulla retribuzione annua lorda nel settore privato è stato dell’11,2% (3.500 euro) e si sale al 12,2% (3.800 euro) comprendendo la parte variabile. Perché le aziende abbiano chiara la loro situazione su questi aspetti, molte volte neppure indagati, sono stati potenziati diversi strumenti, con la cosiddetta legge Gribaudo del 2021.
Le norme per la certificazione di genere
Da ultimi, assolvendo anche agli impegni assunti col Pnrr, sono arrivati prima il decreto del Ministero del Lavoro e quindi le istruzioni Inps per ottenere gli sgravi contributivi offerti a chi si sia certificato entro la fine dell’anno. L’incentivo vale l’1% di esonero contributivo nel limite di 50mila euro a datore di lavoro (privato, azienda o professionista). Lo stanziamento complessivo, stabilizzato anche per gli anni a venire, è di 50 milioni.
La posizione in Lamborghini
Chiaramente si tratta di cifre che, per le imprese più complesse, sono risibili. “Ma è giusto farlo, perché solo certificandosi ci si rende conto in modo scientifico della propria situazione”, ragiona Umberto Tossini, chief human capital officier di Lamborghini, azienda che per prima nell’automotive ha preso la sua patente di equità. Un esempio concreto di gender gap che s’insinua tra le righe delle buste paga, di cui in Lamborghini si sono accorti per correggerlo: “Il premio di produzione viene parametrato sulle presenze. Se sei al lavoro dodici mesi all’anno, lo prendi interamente. Ma se ti assenti per maternità, ne prendi solo una frazione. Ecco che con una revisione dei tuoi processi puoi individuare il problema e risolverlo, perché è giusto che anche se sei in maternità il premio lo prenda integralmente”.
Il ruolo dei padri
A cambiare deve ovviamente essere anche il ruolo dei padri. In Lamborghini, oltre ad avere una convenzione con il Nido comunale che viene finanziato, si stimola la suddivisione del lavoro di cura, incentivando l’uso del congedo da parte paterna: “Se i papà fanno almeno 15 giorni, aumentiamo l’integrazione economica per le mamme e sommiamo il monte di giorni a disposizione”, spiega Tossini. “Norme che riguardano gli uomini possono contribuire a ridurre il gender gap – riconosce Semeraro – Il congedo parentale esteso può consentire alle neomamme di riprendere più serenamente le attività lavorative”.
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