Iperattività nei bambini che fare? Intervista all’esperta Dott.ssa La Guzza

di francesca


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Dott.ssa, che in che cosa consiste la così detta Iperattività del bambino?

Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) è caratterizzato da un livello di attenzione scarso, inadeguato per lo sviluppo, o da aspetti di iperattività e impulsività inappropriati all’età, o da entrambi. Si tratta di bambini con alti livelli di attivazione, i quali non possono stare fermi, sono irrequieti e impulsivi, parlano incessantemente e spesso ad alta voce.

In cosa si differenzia un bambino vivace da un bambino con Disturbo ADHD?

Non dobbiamo fare l’errore di scambiare un bambino vivace per un bambino con ADHD. La differenza è sostanziale. L’ADHD è un disturbo di origine neuro-biologica che si esprime con uno stato persistente di agitazione psico-fisica, condizione psico-motoria che causa grave disagio al bambino stesso, oltre che ai suoi genitori. La vivacità è un tratto emotivo-caratteriale, spesso caratterizzato da impulsività e irruenza, ma sostanzialmente gestibile. Nei test standardizzati il bambino con ADHD cade, dimostrando prestazioni gravemente deficitarie nei compiti di attenzione, ad esempio. L’ADHD è un disturbo che si manifesta costantemente e in più ambiti (almeno due, casa e scuola, ad esempio).

Dopo quanto tempo e con quali sintomi si può fare diagnosi di disturbo da iperattività nel bambino?

Per porre diagnosi di ADHD il disturbo deve essere presente per almeno sei mesi e causare compromissione delle prestazioni scolastiche e sociali. Il disturbo, inoltre, deve manifestarsi prima dei 7 anni.

Perchè si parla di disattenzione e di iperattività? Le due cose sono sempre legate?

Il DSM-IV, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, elenca tre sottotipi di ADHD:

  1. tipo con disattenzione predominante;
  2. tipo con iperattività-impulsività predominanti;
  3. tipo combinato.

Così, un bambino può essere inquadrato in un disturbo caratterizzato da soli sintomi di disattenzione o da sintomi di iperattività e impulsività ma senza disattenzione (Rapoport J.L. e Ismond D.R., 2000).

Cosa deve fare (e non fare) la famiglia per aiutare il bambino?

Il ruolo della famiglia nel trattamento del bambino con ADHD è di fondamentale importanza, considerato il contesto educativo e relazionale nel quale il bambino vive.

Occorrerà prestare particolare attenzione a come i genitori vivono e si rappresentano il problema del figlio, bisognerà rivedere le attribuzioni dei genitori relative alle cause del comportamento problematico del bambino, occorrerà formarli nella gestione del figlio e aiutarli a ottenere una collaborazione da parte del bambino.

Spesso i genitori attribuiscono ai problemi del figlio quelle peculiarità comportamentali che sfuggono al loro controllo e si dovranno promuovere dei cambiamenti affinché i genitori arrivino a pensare che sono anche loro parte del problema del figlio e che è naturale fare degli errori. Una volta capito qual è il problema, è utile insegnare loro strategie educative e modalità di intervento al fine di evitare l’adozione, da parte del figlio, di comportamenti scorretti.

Quali consigli educativi può dare alle famiglie che si trovano ad affrontare questo tipo di problema con i loro bambini?

Le strategie educative più efficaci per affrontare i comportamenti problematici dei bambini con ADHD sono:

  1. comprendere ed accettare il problema, al fine di affrontarne la gestione in modo efficace e funzionale;
  2. programmare un piano di intervento, identificando prioritariamente quali sono i comportamenti inadeguati più frequenti nel bambino e stabilire quelli su cui si vuole intervenire;
  3. usare il rinforzo positivo, come dare attenzione, sorridere, approvare (rinforzo sociale), oppure fare un regalo, dare una ricompensa (rinforzo concreto). Un rinforzo efficace deve essere immediato dopo l’emissione del comportamento positivo e deve essere dato, almeno nella fasi iniziali, ogni volta che viene messo in atto. In un secondo momento, quando il comportamento è diventato modalità tipica di risposta, la frequenza del rinforzo positivo va diminuita;
  4. usare la comunicazione assertiva, esprimendo in modo chiaro, specifico e fermo le proprie richieste, utilizzando un linguaggio semplice;
  5. usare il time out, collocando il bambino in un luogo neutro e insignificante non appena si verifica il comportamento indesiderato e farvelo rimanere fino a quando un segnale indica la fine del periodo di time out. Il tempo in cui il bambino passa in time out deve essere stabilito calcolando 1 minuto per ogni età del bambino per i comportamenti ritenuti di media gravità, 2 minuti per ogni anno di età del bambino per i comportamenti più gravi. Il time out è una tecnica disciplinare che si propone due obiettivi: interrompere quanto prima possibile il comportamento problema e aiutare il bambino a raggiungere una capacità di autodisciplina. Il time out può indebolire rapidamente molti comportamenti indesiderabili e i genitori che lo utilizzano diventano modelli razionali di autocontrollo;
  6. lasciare che il bambino faccia delle scelte, in quanto è proprio il bambino che decide se comportarsi o meno in un certo modo e impara che un determinato comportamento ha specifiche conseguenze e che deve assumersi la responsabilità delle proprie azioni e scelte;
  7. usare un programma a punti, utilizzando una scheda giornaliera dei punteggi e del menu delle ricompense e dei premi;
  8. l’impiego delle punizioni deve essere monitorato e adeguato all’età del bambino e al comportamento da punire. Un atteggiamento eccessivamente punitivo può causare rabbia, risentimento, ostilità e demoralizzazione nel bambino. La punizione dovrebbe essere applicata in maniera consapevole, per una specifica e motivata ragione, con un linguaggio assertivo e in modo coerente da entrambi i genitori.

E’ possibile intervenire? Con che tipo di trattamento?

Il trattamento dell’ADHD è svolto da psicologi clinici specializzati nell’ambito. Implica un impegno di almeno due sedute a settimana (di 50 min) nel quale il clinico propone delle attività mirate al potenziamento delle funzioni cognitive deficitarie (attenzione sostenuta, attenzione divisa, memoria di lavoro, controllo degli impulsi, monitoraggio, metacognizione) integrate ad un percorso di educazione socio-affettiva. Sebbene i risultati sano visibili sin da subito, si consiglia di proseguire il trattamento per almeno un anno.

Lei nella sua terapia suggerisce il paretn training. Ci spiegherebbe di cosa si tratta?

Il parent training è stato suggerito come una via per migliorare il funzionamento di bambini con ADHD insegnando ai genitori a riconoscere l’importanza delle relazioni con i coetanei, ad insegnare, in modo naturale e quando ve ne è il bisogno, le abilità sociali e di crescita, ad acquisire un ruolo attivo nell’organizzazione della vita sociale del bambino, e a facilitare l’accordo fra adulti nell’ambiente in cui il bambino si trova a vivere (insegnanti e altri educatori). Di seguito verranno presentati due programmi molto accreditati di parent training. Gli obiettivi del parent training sono i seguenti:

  1. aumentare la conoscenza sull’ADHD;
  2. aumentare la conoscenza delle strategie dei cambiamenti comportamentali;
  3. migliorare la frequenza e la qualità della collaborazione casa-scuola;
  4. migliorare il grado di rapidità e correttezza dei compiti a casa;
  5. migliorare i risultati scolastici dei bambini con ADHD;
  6. migliorare la relazione genitore-figlio;
  7. diminuire lo stress genitoriale.

A chi rivolgersi per la valutazione e il trattamento?

Su territorio italiano è possibile rivolgersi a Centri Pubblici e Privati. Il nostro centro (www.centroamamente.it) opera a Milano e si rivolge a bambini in età prescolare e scolare e alle loro famiglie, integrando nel lavoro di abilitazione, un approccio creativo e motivante.

 

DELLA DOTT.SSA LA GUZZA LEGGI ANCHE:

Intervista a cura di: Cinzia Rampino

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