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Donne violentate in Congo, perché succede? Il rapporto dell’Agenzia Fides
“Un’azione mirante a umiliare e a uccidere una comunità attraverso singolari e talvolta sistematici atti perpetrati in questo o quel villaggio”. Così un rapporto inviato all’Agenzia Fides, firmato da don Justin Nkunzi, Direttore della Commissione “Giustizia e Pace” dell’Arcidiocesi di Bukavu, capoluogo del Sud Kivu, descriveva fin dal 2007 l’uso strumentale delle violenze sessuali come arma di guerra. Il fine è quello di annientare le popolazioni locali come comunità e indurle a lasciare le aree prese di mira da uno dei 120 diversi gruppi armati che imperversano nelle tre provincie nell’est della Repubblica Democratica del Congo.
“La donna è considerata in primo luogo come madre” sottolineava il rapporto. “Essa dona la vita. È tutto quello che c’è di sacro nella tradizione africana. In un contesto simile, le violenze contro le donne sono considerate come un modo d’infliggere la morte a un’intera comunità. È un modo di colpire al cuore stesso della comunità”.
Una situazione che dal 2007 (ma i crimini sono stati avviati fin dagli anni ’90 del secolo scorso) ad oggi non è affatto cambiata. “Nella cultura congolese fare violenza su una donna significa fare violenza alla propria madre, perché è lei che dona la vita ed educa la prole. Gli stupri sono pianificati come una tattica di guerra da persone che conoscono bene la comunità locale. Le violenze sono, quindi, il marchio indelebile di una guerra senza fine. Le vittime sono spesso bambine, le più deboli e vulnerabili” riferiva all’Agenzia Fides da Bukavu nel 2021 padre Bernard Ugeux, sacerdote di origine belga, appartenente alla congregazione dei Missionari d’Africa (detti anche “Padri Bianchi”).
L’incontro di ieri, 1° febbraio, con Papa Francesco con alcune delle vittime provenienti dall’est della RDC di questa vera e propria strategia che si può definire di “genocidio culturale” è un potente richiamo a una realtà che non deve essere ignorata.
“La guerra (nell’est della RDC) – ha affermato il Pontefice – è scatenata da un’insaziabile avidità di materie prime e di denaro, che alimenta un’economia armata, la quale esige instabilità e corruzione. Che scandalo e che ipocrisia: la gente viene violentata e uccisa mentre gli affari che provocano violenze e morte continuano a prosperare!”.
Nel 2018 il Premio Nobel per la Pace è stato dato al dottor Denis Mukwege, medico e pastore protestante congolese, nato a Bukavu, che da decenni cure donne e ragazze vittime degli stupri di guerra nell’est della RDC nell’ospedale Panzi nel capoluogo del Sud Kivu.
Il dottor Mukwege sottolineava come gli stupri di guerra sono armi utilizzate in diversi conflitti in tutto il mondo, dall’ex Jugoslavia alla Siria: “Ho incontrato delle donne bosniache e dei medici siriani che mi hanno raccontato di stupri simili”.
Un operatore di pace che, come ha detto Papa Francesco, “risponde al male con il bene, all’odio con l’amore, alla divisione con la riconciliazione” in modo da “trasformare la realtà da dentro invece che distruggerla da fuori”.
Foto da DepositPhotos.
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