“Sono una casalinga” e arrestano il marito: vietatissimo dalla legge | Da oggi non è più ammesso

Donna triste guarda fuori dalla finestra_Donnaclick
Una sentenza destinata a far discutere: la libertà personale non è più negoziabile.
Essere casalinga per scelta è legittimo, ma esserlo per imposizione è tutta un’altra storia. La differenza è sottile, ma fondamentale. E oggi la legge lo dice chiaramente.
Nel contesto di una relazione, non sempre il confine tra accordo e imposizione è facile da tracciare. Alcuni comportamenti, spesso sottovalutati, possono trasformarsi in veri e propri abusi, anche quando non c’è violenza fisica.
Una delle forme più invisibili di controllo è quella economica: quando a una donna viene impedito di lavorare, di guadagnare e di rendersi autonoma. Questo controllo mina la sua libertà e dignità. Non è un dettaglio domestico, ma una violazione.
Per troppo tempo si è pensato che l’ambiente familiare giustificasse certi ruoli imposti. Oggi invece la giurisprudenza si muove nella direzione opposta: difendere il diritto alla libertà personale, anche e soprattutto tra le mura di casa.
Quando il ruolo di casalinga è imposto
Impedire a una donna di lavorare non è una semplice “scelta familiare”. È una limitazione grave, che oggi viene equiparata a un maltrattamento. La Cassazione lo ha ribadito in una recente sentenza. Un marito può essere ritenuto colpevole se ostacola, con pressioni psicologiche o divieti espliciti, la libertà della moglie di costruirsi un’indipendenza economica. Anche quando le violenze sono solo verbali o comportamentali.
Nel caso specifico, la Corte ha giudicato inammissibile la difesa dell’uomo, secondo cui la moglie avrebbe accettato spontaneamente di restare a casa. Le prove raccontavano, infatti, un’altra verità.

La sentenza della Cassazione cambia tutto
Con la sentenza n. 1268 del 13 gennaio, la Corte di Cassazione ha condannato l’uomo per maltrattamenti, colpevole di aver impedito alla moglie di lavorare per quasi vent’anni. Il marito, imprenditore, la costringeva ad accudire i figli, facendola lavorare gratuitamente come contabile nella sua azienda. Quando la donna aveva tentato di lavorare fuori casa, lui l’aveva tempestata di telefonate, umiliandola sul posto di lavoro e costringendola a licenziarsi. La sua libertà era costantemente monitorata, anche tramite una telecamera esterna installata per sorvegliarla.
La Corte ha riconosciuto che questi comportamenti costituiscono una vera e propria forma di maltrattamento, punibile secondo l’articolo 572 del Codice Penale. Un precedente importante, che rafforza la tutela delle donne anche contro gli abusi psicologici e il controllo economico all’interno del matrimonio.