Potestà genitoriale: quando mamma e papà non convivono

di francesca


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Questa settimana parliamo di un tema di grande attualità che coinvolge molti genitori alle prese con scelte difficili ed impegnative, nel momento in cui si ha un figlio in comune ma non si convive né si è sposati. Questa situazione non rende certamente più semplice quello che già di per sè è il più difficile mestire del mondo: il genitore. Ma comprendendo meglio qual è la posizione dei genitori di fronte alla legge e, soprattutto, con una propensione al confronto e dialogo con l’ex partner, possiamo comunque riuscire a crescere il nostro bambino nel migliore dei modi.

Bisogna innanzitutto chiarire che, così come nelle famiglie basate sul matrimonio, anche nelle convivenze di fatto, entrambi i genitori hanno la potestà (non più “patria potestà” ormai dal 1975) sui figli e la esercitano congiuntamente. La potestà è da intendersi come un insieme di diritti e soprattutto doveri che i genitori hanno nei confronti dei propri figli; in pratica ne possiamo parlare come l’obbligo/diritto di istruirli, mantenerli ed educarli.

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Tutti i diritti/doveri dei genitori iniziano dal momento della nascita, e/o del riconoscimento (se successivo) del bambino e rimangono in essere anche se per un breve periodo non vengono esercitati o se un genitore non convive mai con il figlio, poiché è il rapporto stesso di filiazione che genera gli obblighi ed i doveri genitoriali, non la convivenza o il matrimonio tra i partner.

Sicuramente tale diritto/dovere vale pure per quei padri che hanno riconosciuto un figlio senza essere conviventi con la madre, oppure non essendolo più.

Nel caso in cui sorgano delle controversie in merito all’esercizio della potestà su un figlio di genitori non sposati, ci si deve rivolgere al Tribunale per i minorenni, che è competente, in questi casi, a sancire le modalità di esercizio della potestà.

Naturalmente, così come per il caso di genitori sposati, vige la regola dell’affidamento condiviso anche dopo la separazione della famiglia more uxorio; vale a dire che le decisioni più importanti per la vita dei figli vengono prese di comune accordo tra i genitori e non si assiste quasi più all’affidamento monogenitoriale, secondo cui un genitore prendeva le decisioni ed all’altro rimaneva un puro potere di controllo presso il Giudice Tutelare.

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In armonia con i principi dell’affidamento condiviso, deve considerarsi molto positivo l’atteggiamento di chi cerchi in tutti i modi di favorire il contatto del proprio figlio con l’altro genitore, anche e soprattutto se non convivente.

E’ naturale che una madre di un bimbo appena nato o di pochi mesi, possa inorridire al solo pensiero di allontanarsi, sia pur per poche ore, dal proprio cucciolo; ma generalmente non viene previsto nei primi mesi di vita, e spesso anche nei primissimi anni, che il bambino passi la notte con il padre, il quale quindi possono stare con i figli un numero limitato di ore, prima di riaccompagnarli a casa dalla madre.

Sarà poi importantissimo che, superata la fase dell’allattamento, il rapporto con il padre venga favorito, tanto quantitativamente che qualitativamente; se il figlio non dovrà subire gli sgradevoli commenti sul proprio genitore da parte dell’altro, potrà instaurare con la mamma e il papà due rapporti diversi, ma dotati della stessa carica affettiva, ritrovando quell’equilibrio che la separazione fisica dai genitori tende a minare.

Purtroppo, nonostante le norme sull’affidamento condiviso predichino di ripartire in modo equivalente i tempi di permanenza con l’uno o l’altro genitore, con la pratica del cd “collocamento prioritario” c’è sempre e comunque un genitore che, volente o nolente, si prende di più cura della prole rispetto all’altro, per dare ai figli una maggior stabilità. E’ però auspicabile che la cultura delle famiglie tenda ad emanciparsi sempre più dai vecchi stereotipi secondo i quali il padre aveva, nell’educazione dei figli, un ruolo di minor rilievo, quasi defilato, lasciando invece il posto ad una concezione della famiglia più rispondente a canoni moderni ove padre e madre possono e sanno occuparsi della prole con la stessa dedizione in un rapporto dialettico, sempre in equilibrio.

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