“Noi donne cresciamo con l’ansia perenne di doverci guardare le spalle”: Maria Grazia Cucinotta lotta contro la violenza di genere

di Alice Marchese


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Maria Grazia Cucinotta, sempre in prima linea nella lotta alla violenza di genere, pubblica un libro di testimonianze ispirato alla sua esperienza di vita.
Nel 2019 diede vita alla onlus “Vite senza paura”, a cui collaborano molte professioniste, tra cui psicologhe, avvocate e magistrate. Ma per la prima volta la messinese, ambasciatrice della Sicilia nel mondo, confessa di essere stata a sua volta anche una vittima.

Il tragico episodio è stato causato da un’aggressione da parte di uno sconosciuto in ascensore che è riuscito poi a scappare.
“Vite senza paura. Storie di donne che si ribellano alla violenza” è un testo il cui contenuto è frutto di esperienze vissute sulla propria pelle perché “noi donne cresciamo con l’ansia perenne di doverci guardare le spalle, vivere richiede un atto di coraggio”.

La produttrice è molto legata alla sua terra natia; annuncia un progetto in arrivo con Giuseppina Torregrossa: «Il Ponte? Non possiamo rinunciarci».
Ci si chiede come mai lei abbia deciso proprio adesso di raccontare ciò che accadde anni fa, in quell’ascensore, in Francia. Com’è riportato da Repubblica: “Mondadori mi ha chiesto di rivelare la mia esperienza e i proventi del libro verranno destinati a creare un fondo finanziario per aiutare le vittime della violenza. Pochi ci pensano, ma le donne che scappano, sono completamente sole, nude. Fuggono per necessità e si riappropriano della propria vita”. C’è un messaggio? “Può capitare a tutti, davvero a tutti”. Quel giorno, al posto di polizia, i gendarmi le dissero una frase choc… “ “Sei mediterranea, sicuramente lo hai provocato”. E del resto, ogni volta che un uomo uccide la moglie, si parla di raptus di follia. Capita che un amore possa finire ma noi non siamo possesso di nessuno. La risposta possibile è una, l’educazione alla non violenza”. Sua mamma vive in Sicilia. Com’era il suo rapporto con lei, in gioventù? “Era ansiosissima, come tutte le mamme sicule. Mi ha sempre fatto cento raccomandazioni, noi donne cresciamo con l’ansia perenne di doverci guardare le spalle”.

Scrive “per una donna, vivere è da subito un atto di coraggio”. Un’affermazione forte. “Ma è una triste verità. Vieni al mondo e sei subito preda. Nel libro racconto diverse storie ma quelle che mi hanno colpito di più, quelle che mi hanno straziato il cuore, riguardano le bambine che anziché vivere l’infanzia, hanno attraversato l’inferno”. A diciott’anni ha lasciato la Sicilia. Si vedeva “piena di difetti, troppo alta, troppo magra, troppo formosa”.

Com’è cambiato il rapporto con il suo corpo? “A quel tempo ero una mina vagante. Non avevo nessuna consapevolezza, volevo solo che gli altri mi apprezzassero, vivevo di luce riflessa e delle opinioni altrui e ciò può creare mille pericoli. Con il passare del tempo ho capito che dobbiamo farci valere, dobbiamo imparare a essere noi stesse”. Alla prima campagna per i diritti delle donne, si presentò con un tubino maculato. Perché? “Fu una scelta precisa. Una scollatura o una minigonna non danno alcun diritto di metterci le mani addosso, non siamo a disposizione degli uomini. Le donne devono essere libere di vestirsi come vogliono senza dover sempre temere il giudizio altrui”.

La sua associazione arriverà anche in Sicilia? “È nata da poco qui a Roma ma vogliamo creare una rete attiva sul territorio, fatta da persone che vogliano davvero cambiare le cose”. La Sicilia è ancora legata al pregiudizio, alla famiglia patriarcale? “Noi siamo cresciuti in mezzo al pregiudizio. Ma in Sicilia accadono meno fatti di questo tipo perché resiste il senso della famiglia, quell’unione fra parenti che ci dà forza e non ci fa sentire soli”.

Lei è un’ambasciatrice di Sicilia. Che immagine dà l’Isola vista da lontano? “Le eccellenze siciliane, dalle creazioni di Dolce&Gabbana alle prelibatezze di Fiasconaro, hanno permesso che l’immagine si evolvesse. Sa, ho amici americani che sono arrivati in Sicilia legati all’immagine del Padrino ed erano terrorizzati. Ma quando sono ripartiti, piangevamo perché avevano scoperto una nuova terra e tornano ogni anno. La Sicilia non è solo Il Padrino”. Lei è legata alle sue origini? “Mi ritengo fortunata ad essere nata in Sicilia, la considero il paradiso del mondo e auguro a tutti di metterci piede almeno una volta nella vita. Sono orgogliosamente siciliana, siciliana ancor prima che italiana” Tornerebbe a vivere in Sicilia? “Ci abbiamo riflettuto anche quest’estate con mio marito. In Sicilia c’è una qualità di vita meravigliosa, il lavoro manca — forse oggi manca ovunque — ma è il tempo di aprire le gabbie mentali e liberare le persone che hanno voglia di fare”.

Produttrice e regista, ci sono progetti in arrivo sulla Sicilia? “Una delle mie scrittrici preferite è Giuseppina Torregrossa, la adoro e insieme abbiamo un progetto e ci stiamo lavorando… ma non posso aggiungere altro”. Ma si può raccontare la Sicilia in modo diverso? “Questa è la sfida. Il folklore non è il nostro nemico. Il cannolo e la coppola non sono un problema ma bisogna superarli, vanno intesi come elementi di costume che non possono assolutamente essere intesi come la nostra realtà e il futuro cui andiamo incontro. Abbiamo meraviglie naturali e architettoniche, abbiamo scrittori e scrittrici, artisti e opere d’arte. Non ci manca nulla in Sicilia, ma dobbiamo rendercene conto tutti”.

Il lockdown ha mutato anche l’idea dell’Isola? “Quest’estate, non potendo lasciare il Paese, gli italiani hanno scoperto o riscoperto la Sicilia in cui c’è tutto e molto di più. Ma c’è una situazione disastrosa per quanto riguarda le attività ricettive e mi auguro che i sacrifici fatti vengano ricompensati”. A proposito di strutture e infrastrutture, cosa ne pensa del ponte sullo Stretto? Molti siciliani che hanno lasciato l’Isola sono contrari: forse sono ancorati ad un’idea dell’isola ferma nel tempo con ritmi lenti e malinconici? “Io sono pro-Ponte. L’evoluzione non deve mai fermarsi. Sono nata a Messina e una infrastruttura avveniristica che rapidamente possa farti attraversare un braccio di mare, lo considero un passo avanti. Ma ciò non significa dover rinunciare a tutto”. Ovvero? “Il treno che viene smontato e imbarcato è una immagine suggestiva. Accanto al Ponte vorrei che rimanessero le navi traghetto, magari convertite in mezzi turistici per scoprire lo Stretto e le sue bellezze, un po’ come accade sulla Senna. Perché dobbiamo rinunciare alla possibilità di unire la Sicilia con un Ponte? L’evoluzione porta lavoro, porta anche ricchezza. E noi siciliani ne abbiamo bisogno, no?”.

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