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“La bambina che non voleva cantare”: la storia di Nada su RaiUno

“Cos’è la vita senza l’amore?” è stata la frase ricorrente che abbiamo sentito tra un intermezzo e l’altro durante le serate dedicate al Festival di Sanremo.
“La bambina che non voleva cantare”, film andato in onda ieri sera su RaiUno, è la storia di Nada, cantante dalla voce straordinaria il cui talento è stato notato e ampiamente apprezzato sin da quando era una bambina. Eppure, nonostante la sua potenza canora, dentro di lei c’era una ferita che non si rimargina facilmente: soltanto con il suo dono lei sente che riuscità a guarire la mamma che soffre di un disturbo depressivo.

Lei canta, anche quando non vorrebbe, anche quando pensa sia inutile, perché le sue doti rinvigoriscono la madre, le conferiscono una lucentezza negli occhi che a causa degli psicofarmaci si era spenta. A volte la madre, interpretata da Carolina Crescentini, insiste sul sentirla intonare melodie anche contro il volere della figlia Nada (la cui attrice è Tecla Insolia), la quale è spinta da un profondo senso di cura nei confronti di Viviana.

La regista palermitana Costanza Quatriglio, direttrice artistica del Centro sperimentale di cinematografia, si innamora della storia di Nada, e a più di dieci anni dal documentario “Il mio cuore umano” sulla biografia della cantante, firma la regia del film prodotto da Picomedia in collaborazione con RaiFiction “La bambina che non voleva cantare” con Tecla Insolia, Carolina Crescentini e Paolo Calabresi. Intervista riportata da Repubblica.

Come le è venuta l’idea di lavorare sulla vita di Nada?
«Ho voluto raccontare la storia dell’infanzia e dell’adolescenza di Nada perché ho tratto ispirazione dal suo libro autobiografico “Il mio cuore umano”. Quello che mi ha appassionato di quel libro è stato il modo in cui lei, adulta, racconta con sguardo incantato, ancora di bambina, quel mondo antico da cui proviene. Dentro c’è la campagna toscana e la malattia della madre, la depressione. Nada bambina scopre di avere una voce prodigiosa grazie alla quale sperava di poter essere vista dalla madre, che nei momenti più acuti della malattia non vedeva niente e nessuno. Nella biografia c’erano tutti gli elementi per avere un nucleo drammaturgico forte. Inoltre, Nada nella sua espressione artistica di adulta ha sempre avuto un’ossessione per il ruolo della madre, tanto è vero che ha scritto delle canzoni straordinarie dedicate alla figura materna. Subito dopo aver letto il suo libro, che è uscito nel 2008 , sono andata alla presentazione per ascoltarla raccontare. Ricordo che c’era Mario Monicelli e abbiamo chiacchierato di questo libro ed è stato un pomeriggio straordinario. Con Monicelli abbiamo scherzato sull’immaginario toscano, eravamo molto divertiti dalla sagacia toscana che si ritrovava nel libro e del quale lui è stato un estimatore».

Come è passata dal documentario al film tv?
«Dopo quella presentazione ho deciso di fare un film documentario, lo abbiamo realizzato nel 2009 ed è andato al Festival di Locarno dello stesso anno, poi è stato trasmesso su RaiTre. Nel documentario ho raccontato la Nada grande, la donna, l’artista poliedrica, i suoi generi musicali, senza però mai perdere lo sguardo, il dolore di una bambina che usava il suo talento vocale per attirare l’amore della madre. Ho custodito questa storia nel tempo, l’ho messa a fuoco sempre meglio fino a quando ho scritto il soggetto de “La bambina che non voleva cantare”, che è un film in cui il tono della favola si mescola anche all’idea del viaggio musicale, perché è un film in cui ciascuno di noi ritrova parti di sé, della propria memoria. Si tratta anche di un viaggio nella tradizione della canzone italiana di quegli anni, un viaggio nella memoria collettiva di tutti noi».

Come ha scelto il repertorio delle canzoni che accompagnano la crescita canora di Nada?
«Dopo aver scritto la sceneggiatura con Monica Rametta, l’ho fatta leggere a Nada e insieme a lei mi sono divertita a individuare le canzoni che questa bambina avrebbe cantato durante le gare di canto, gare che non voleva fare perché si rifiutava di esibirsi in pubblico. Voleva cantare solo per la mamma. E nell’immaginare le canzoni che avrebbe cantato, abbiamo attinto anche al suo quaderno di ricordi, dove c’è il repertorio che lei si studiava. Tra queste ho trovato le canzoni che cantava mia zia Maria quando io ero piccola. Ecco, quindi che si tratta di un film che con il tono della favola, del racconto di formazione, e che ci proietta nella dimensione del ricordo e della tradizione della canzone italiana. Lei canta le canzoni importanti: Mina, Claudio Villa, Vanoni, tutto quello che è stata la canzone di quegli anni».