Nell’ultima puntata di Masterchef Italia 11 che si è svolta lo scorso 6 gennaio, i concorrenti si sono dovuti cimentare nella preparazione di un ingrediente insolito, sconosciuto a molti ma fondamentale della cucina giapponese, il katsuobushi, il cui nome è, indubbiamente, molto buffo. Ecco di cosa si tratta.
Il katsuobushi è uno degli ingredienti base della cucina giapponese. Si tratta di un tonno essiccato con un aroma intenso, sapido, fragrante; perfetto per insaporire tutti i piatti. Ideale per le zuppe e i piatti di pasta oggi lo troviamo perfino sulla pizza. La sua storia si perde nella notte dei tempi, sulle navi dei pirati che infestavano l’Oceano Indiano.
Lamelle sottili e dal colore opaco come il vetro temperato di una chiesa gotica, l’odore forte dell’oceano e quel movimento misterioso a contatto col calore: questo è il Katsuobushi, uno degli ingredienti base della cucina giapponese. Si tratta di un tonno essiccato con un aroma intenso, sapido, fragrante; perfetto per insaporire tutti i piatti.
Il katsuobushi è la varietà più pregiata di un filetto di tonno lasciato fermentare tramite una tecnica molto antica di conservazione, per un tempo abbastanza lungo, che va dai 12 ai 18 mesi. Molto usato nella cucina nipponica, come ci ha raccontato lo chef Hirohiko Shoda “la cucina giapponese si fonda su alcuni ingredienti principali: salsa di soia, sakè, mirin (sakè dolce), katsuobushi e alga kombu. In assenza di questi 5 elementi principali non si può parlare di cucina giapponese”.
Risalire alla storia di questo ingrediente è praticamente impossibile. In maniera convenzionale, nel Sol Levante la storia del katsuobushi comincia nel 1500. In questo periodo il Giappone vive enormi tumulti, sia in politica interna che esterna.Arrivano per la prima volta degli “stranieri”, i missionari e i commercianti portoghesi che attivano una serie di scambi tra il Giappone e l’Occidente. In tutto questo trambusto di trasporti e armi prende piede la pirateria giapponese. In questo scenario compare il katsuobushi: i pirati giapponesi arrivano fino al Golfo del Bengala, territorio indiano e mare ricco di tonno. Serve un metodo di conservazione però, altrimenti il pesce sarebbe andato a male molto velocemente e dopo molteplici tentativi arrivano al metodo che ancora oggi viene usato per fare il katsuobushi.
Come detto è uno degli ingredienti base della cucina giapponese. Fondamentale per il dashi, il brodo da cui partono la maggior parte dei piatti in Giappone, il katsuobushi si può usare anche come ripieno per gli il temaki e l’onigiri (sempre poche lamelle per volta). Davvero ottimo come “crosticina” agli uramaki, in particolare i rolls ripieni di formaggio spalmabile, salmone, avocado e ovviamente alga nori, molto in voga in Occidente. La sapidità del tonnetto equilibra magnificamente il tutto.
Con l’avvento di Youtube, nei primi anni 2000, il katsuobushi entra prepotentemente nelle case degli europei grazie a una caratteristica molto scenografica: i fiocchi a contatto con la zuppa calda si muovono come se fossero vivi perché iniziano gonfiarsi assorbendo il liquido del piatto. In Italia è tutto un tripudio di video in cui viene mostrata questa misteriosa pietanza orientale che è viva pure dopo cotta. Passata la “moda” del cibo che si muove, i cuochi hanno cominciato a ragionare su questo prodotto dal gusto molto particolare: il katsuobushi è infatti alla base dell’umami, ovvero il gusto più importante per i giapponesi. Questo prodotto ha un aroma intenso, sapido, fragrante; perfetto per insaporire tutti i piatti.
Spesso lo si ritrova sulla pasta o sulle zuppe anche tipicamente europee. Negli ultimi anni c’è stata la riscoperta del katsuobushi sulla pizza: nel 2018 l’intuizione di Francesco Martucci, titolare de I Masanielli a Caserta. Una pizza splendidamente lievitata cosparsa di queste scaglie vitree che si muovono a contatto col calore. Un piatto incredibilmente scenografico. Il katsuobushi resta un prodotto molto difficile da usare al di fuori delle zuppe perché il sapore è predominante rispetto a tutti gli altri ingredienti.