Oggi, anche il bambino, purtroppo, si trova a dover affrontare una condizione comune alla maggior parte degli adulti: la solitudine.
I motivi sono prevalentemente due:
Entrambe queste situazioni sono (o possono essere) motivo di disagio per i bambini.
La presenza sempre più rilevante della donna nel mondo del lavoro la costringe, in quanto figura principale di riferimento per il figlio, a un estenuante doppio ruolo, dentro e fuori la famiglia. Spesso essa non ha la forza e il tempo di sobbarcarsi tale mole di responsabilità e ciò la spinge anche a condizionare il numero dei figli.
Non sempre è una questione di reddito e di possibilità economiche. Molte coppie i cui redditi superano la media nazionale invocano ragioni esistenziali per ridurre il numero dei figli. Ma essere “figli unici” e diventare “figli soli” sono due cose ben diverse. Ecco perchè, voglio parlarvi di due figure o tipologie emblematiche di figli, richiamando la vostra attenzione sulla responsabilità di genitori nel determinarle:
Secondo la maggior parte degli psicologi, non esiste una “sindrome da figlio unico” con sintomi ben definiti e codificati. Tuttavia il figlio “unico” spesso presenta caratteristiche psicologiche significative e simili a quelle di altri figli unici.
D’altra parte, se è vero che i figli unici non sono tutti uguali, si può affermare che molto spesso sono più simili tra loro due figli unici di quanto lo siano due fratelli. E’ bene perciò fare delle premesse necessarie:
Ed ecco le caratteristiche dei genitori (madre) di figli “unici”
Non c’è nulla di male nell’essere figli “unici”, se non che questo purtroppo comporta spesso la presenza di caratteristiche caratteriali negative che pesano per molto tempo sul bambino, accompagnandolo anche nella sua vita di adolescente e di adulto, come: arroganza, egoismo, egocentrismo, immaturità, insicurezza (sembra in contrasto con l’arroganza, in realtà ne è la conseguenza), scarsa capacità di comunicazione, scarsa capacità di avere amicizie, facilità alla depressione, da adulto, difficoltà a trovare il partner.
Come ho già detto, mi dispiace doverlo ripetere, ma è una legge di natura: nei primi due anni di vita il peso maggiore è rappresentato dalla madre. Un tempo il figlio “solo” era più facile trovarlo nelle famiglie appartenenti alle classi benestanti; ora lo si può trovare anche in alcune famiglie in cui la donna è particolarmente impegnata sul fronte lavorativo, fatto più comprensibile (anche se non ne sono molto convinto).
I pediatri più attenti agli aspetti psicologici della genitorialità spesso riescono a indovinare, da alcuni segni premonitori, quale sarà un bambino che corre il rischio di essere lasciato solo. E lo deducono osservando alcuni atteggiamenti delle future mamme.
Voglio fare alcuni esempi:
Può sembrare che io sia esagerato, in realtà voglio mettere sull’avviso i genitori, che non devono interpretare il loro ruolo privilegiando le proprie esigenze a scapito di quelle dei figli (“tanto sono piccoli e devono fare quello che diciamo noi”).