L’omicidio di Simonetta Cesaroni: il giallo di via Poma tra nuovi sospetti e vecchie ombre

di Redazione


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Il caso irrisolto che ha turbato l’Italia torna a far parlare di sé. La tragedia di Simonetta Cesaroni, brutalmente assassinata il 7 agosto del 1990 in via Poma, ha conosciuto nel corso degli anni molteplici sviluppi, rimanendo però avvolto in un mistero fitto. Oggi, nuove ipotesi investigative puntano il dito verso Mario Vanacore, figlio del portiere del condominio dove la giovane incontrò la morte.

Il mistero irrisolto di via Poma riemerge dopo 30 anni

I Carabinieri hanno depositato presso la Procura di Roma un dettagliato report che, nonostante le “ipotesi e suggestioni” contenute, non sembra convincere pienamente i magistrati, i quali hanno evidenziato “forti perplessità sulla reale fondatezza del quadro ipotetico tracciato”. Di conseguenza, il 13 dicembre è stata sollecitata l’archiviazione del fascicolo, riaperto due anni fa dopo un esposto dei familiari della vittima.

Nuove indagini puntano su Mario Vanacore, ma i magistrati restano scettici

Risalgono a tre decenni fa le prime ombre su Vanacore, arrestato e successivamente rilasciato, che nel 2010 pose fine alla propria vita, lasciando un messaggio che testimoniava anni di sofferenze e sospetti. L’infelice epilogo non ha tuttavia chiuso la porta alle congetture. Secondo le ricostruzioni attuali, il pomeriggio dell’omicidio, Vanacore si sarebbe introdotto negli uffici dove lavorava la Cesaroni, tentando di abusare di lei. Di fronte alla resistenza della giovane, che riuscì a ferirlo, l’uomo avrebbe reagito con un’inaudita violenza, sferrando 29 colpi mortali.

La famiglia di Vanacore sotto accusa per aver depistato le indagini

La famiglia di Vanacore, però, è stata accusata di aver depistato le indagini. Gli stessi genitori di Mario, Pietrino e Giuseppa De Luca, parrebbero aver taciuto la verità agli inquirenti, tentando di coinvolgere altre persone, tra cui il datore di lavoro di Simonetta, Salvatore Volponi. La commissione parlamentare antimafia della scorsa legislatura ha evidenziato un’attività “post delictum” mirata a occultare l’omicidio o, quantomeno, a ritardarne la scoperta. Dalla sua, Mario Vanacore si proclama innocente, sostenendo di essere stato fuori città al momento del delitto e di aver sempre avuto un alibi solido. Nel tentativo di ripulire il proprio nome, ha dichiarato di voler presentare una denuncia per calunnia e diffamazione.

Una nuova testimonianza riaccende i sospetti sull’avvocato Caracciolo Di Sarno

Nrgli ultimi giorni il caso si è complicato ancora con la riemersione di una testimonianza di una coetanea di Simonetta, che su Quarto Grado di Mediaset ha riferito di essere stata abusata 30 anni fa dall’avvocato Francesco Caracciolo Di Sarno, presidente dell’associazione per cui lavorava la Cesaroni e defunto nel 2016. Questa donna, all’epoca non denunciò per timore di ritorsioni. Caracciolo Di Sarno, una figura già all’epoca avvolta dal mistero e nota per atteggiamenti ambigui, aveva negato di conoscere Simonetta, malgrado diverse testimonianze affermassero il contrario. Il suo alibi si fondava su una dichiarazione della figlia, ma una recente informativa sembra mettere in discussione la sua versione dei fatti, raccontando di un suo rientro affannato a casa il giorno dell’omicidio.
Ora la Procura di Roma, incoraggiata dalla nuova denuncia e dall’attenzione mediatica, ha aperto un nuovo fascicolo. Forse, dopo oltre tre decenni, nuovi elementi potrebbero infrangere il muro di omertà che ha protetto l’assassino di via Poma, consegnando infine giustizia alla memoria di Simonetta Cesaroni.

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