Revenge porn, caso Cantone: la Procura dispone la riesumazione del cadavere

di Manuela Zanni


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La Procura della Repubblica di Napoli Nord ha disposto la riesumazione del cadavere di Tiziana Cantone che si sarebbe tolta la vita il 13 settembre del 2016 in una abitazione di Mugnano, in provincia di Napoli, a causa della diffusione in chat di alcuni suoi video privati.

La riesumazione dei resti della 31 enne è stata disposta dal sostituto procuratore Giovanni Corona nell’ambito delle indagini aperte di recente che ipotizzando il reato di omicidio contro ignoti. La riesumazione dovrebbe avvenire nella prima decade di giugno. 

La storia

Il 13 settembre 2016 Tiziana Cantone, 31enne di Mugnano in provincia di Napoli, viene trovata impiccata nella cantina della casa della zia. Subito si parla di suicidio: Tiziana si sarebbe uccisa legandosi al collo una pashmina.  Subito si pensa che dietro al  gesto disperato ci sia  la vergogna della giovane donna per la diffusione di alcuni suoi video intimi finiti in Rete a sua insaputa, scambiati e commentati su molti siti porno e sui social network.

Nel 2021, tuttavia,  la Procura decide di aprire un nuovo fascicolo e indagare per omicidio e il 28 maggio 2021 l’annuncio che il corpo sarà riesumato.
L’incubo di Tiziana Cantone ha inizio in un momento preciso, il 25 aprile 2015, quel giorno un amico e le dice di averla vista in un filmato su un sito porno. Lei riconosce le immagini e ricorda pure a chi le aveva mandate. Passano i giorni e le scoperte aumentano: altri siti porno hanno le sue immagini. Tiziana inizia a fare ricerche mirate, scopre un forum per adulti in cui si parla di lei come della protagonista di video pubblicati da un sito di scambisti, addirittura di alcuni gruppi su Facebook dedicati a lei e profili fasulli con il suo nome e le foto tratte dai frame dei filmati. Un video, in particolare, è diventato virale, con una battuta della donna che successivamente sarà trasformata addirittura in un meme su internet.

Nonostante un provvedimento di urgenza avesse già ordinato la rimozione dal web di immagini e commenti lesivi della reputazione della donna, il giudice precisa chea Tiziana Cantone non può essere accordato il diritto all’oblio e viene viene anche condannata a rimborsare le spese legali ai cinque siti citati per un totale di circa 20.000 euro.
Le azioni legali faticosamente vanno avanti, ma la diffusione delle sue immagini procede più velocemente di qualunque procedimento giudiziario. Tiziana sente che la sua vita è distrutta, smette di uscire di casa,  lascia il lavoro, avvia l’iter per cambiare il suo cognome in Giglio, quello della madre, cambia anche comune di residenza e si trasferisce in Toscana. Il tragico epilogo di mesi e mesi di angoscia è il suicidio, il 13 settembre 2016. Così almeno si è ritenuto fino ad oggi.

 


Poco dopo la morte di Tiziana Cantone, fu aperta un’indagine su una possibile istigazione al suicidio: viene ascoltato l’ex fidanzato della donna, Sergio Di Palo che avrebbe convinto Tiziana Cantone a querelare i quattro ragazzi, girando loro la responsabilità della diffusione dei video. Per la madre di Tiziana, Maria Teresa Giglio , lui l’avrebbe plagiata.

La prima udienza si è tenuta a porte chiuse, a Napoli, nel febbraio 2019. In aula si confrontano due versioni dei fatti: per l’accusa Di Palo convinse Tiziana a denunciare i quattro e poi, con l’aiuto di un esperto di informatica, avrebbe cancellato i video dal computer e dal cellulare di Tiziana. L’imputato non solo respinge le accuse ma ribadisce di avere aiutato in tutti i modi l’ex fidanzata perché uscisse dall’incubo che stava vivendo, mettendole a disposizione assistenza legale e psicologica.
Il caso viene anche discusso in Senato dalla settimana successiva alla morte della donna. Inizia un lavoro legislativo e una campagna di sensibilizzazione che porterà, l’anno successivo, all’approvazione di una legge per la prevenzione ed il contrasto del cyberbullismo ( il caso Cantone è più volte citato nella discussione in Aula).

Nello stesso periodo si intensifica il dibattito sul «revenge porn» e, all’interno del disegno di legge noto come Codice Rosso, viene votato l’emendamento che lo introduce come reato nel nostro Codice Penale: «Chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5mila a 15mila euro» recita il nuovo articolo di legge.

 

 

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