Sentenze di divorzio straniere, che validità hanno in Italia?

di Danila


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I matrimoni tra cittadini italiani e cittadini extracomunitari sono sempre più frequenti, conseguenza della globalizzazione che sempre più facilita l’ insediamento lavorativo in Paesi diversi da quello di nascita. In fase di crisi coniugale, però, è da riscontrare la spiacevole tendenza del coniuge maschio italiano ad ottenere il divorzio nel Paese d’ origine della moglie in situazioni in cui si può approfittare di legislazioni senz’altro meno attente alla tutela della donna rispetto a quella italiana.

Nella maggior parte dei Paesi extracomunitari (pensiamo sia agli Stati dell’ America latina come a Paesi orientali come ad esempio le Filippine) per quel che concerne l’affidamento dei figli e anche le questioni economiche, non è infrequente imbattersi in decisioni di netto favore per gli uomini, che in Italia nessun tribunale avallerebbe.

Ma poiché la legge 218/1995, regolatrice dell’ intero impianto di diritto internazionale privato, prevede il fondamentale principio della circolazione internazionale dei provvedimenti giudiziari, è possibile eludere le norme italiane in tema di divorzio semplicemente ottenendo un divorzio nel Paese straniero.

Tale provvedimento è direttamente valido anche in Italia a condizione che rispetti taluni requisiti basilari, sia di carattere formale che di natura sostanziale. Tra quelli formali, il controllo circa la autenticità della copia del provvedimento straniero, la verifica che il provvedimento sia debitamente tradotto in lingua italiana e, non meno importante, il timbro dell’ autorità consolare italiana stanziata nel Paese in cui il provvedimento è emesso.

Quanto ai requisiti sostanziali, occorre che il coniuge convenuto fosse – al momento dell’ instaurazione del giudizio – residente nello Stato dove è stata pronunciata la sentenza oppure cittadino o, infine, il matrimonio fosse stato celebrato in quello Stato; è inoltre  imprescindibile che il provvedimento sia divenuto definitivo, non sia contrario a norme di ordine pubblico dell’ ordinamento italiano ovvero ad un provvedimento italiano sul medesimo oggetto e, infine, al momento dell’ instaurazione del giudizio straniero non deve già essere aperto un giudizio sul divorzio in Italia. Spetta all’Ufficiale dello Stato Civile del luogo nei cui registri è trascritto il matrimonio – e perciò ad un funzionario comunale – la valutazione circa la sussistenza o meno di detti requisiti, naturalmente su richiesta del soggetto interessato alla trascrizione.

A questo punto, si aprono due scenari: se il pubblico ufficiale accerta la presenza dei requisiti detti, procede immediatamente con la trascrizione nei registri italiani del divorzio straniero. Qualora, invece, dovesse decretare l’assenza dei requisiti, la palla passa al Procuratore della Repubblica, che può ordinare la trascrizione se ritiene errata la valutazione del pubblico funzionario oppure negare la trascrizione se effettivamente manchino gli elementi suddetti, comunicando il diniego al soggetto richiedente la trascrizione, ed informandolo della possibilità di ricorrere presso la Corte di Appello avverso tale diniego.

Al di là dei tecnicismi giuridici e procedurali, comunque, mi sento di lanciare un monito alle donne straniere affinché siano consapevoli di tale prassi potenzialmente lesiva nei loro confronti: ad oggi, infatti, in presenza dei requisiti sopra elencati tali provvedimenti stranieri sono facilmente riconoscibili in Italia. L’ unico limite a tali riconoscimenti è dato dal divieto di trascrizione di provvedimenti contenenti disposizioni così gravemente lesive della donna da essere contrari a norme di ordine pubblico, ma si tratta di vizi difficilmente riscontrabili e soprattutto dimostrabili, salvo in casi di estrema gravità.

Studio Legale Bevilacqua, Armanini & Associati – Associazione Professionale
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