Quanto tempo attendere dal divorzio ad un nuovo matrimonio?

Anche questa settimana torniamo a parlare di seconde nozze, per sfatare uno dei dubbi più comuni tra le donne che, cariche di speranze, si accingono a rivivere l’esperienza del matrimonio. Affrontare la fine di un amore non è mai facile e quando, finalmente, siamo riuscite a costruirci un nuovo equilibrio ed abbiamo trovato la persona giusta per riprovarci, dopo aver vinto anche le ultime paure siamo impazienti di convolare a nozze e regolarizzare la nostra nuova unione. A volte però ci sembra che ci siano dei piccoli e grandi “intoppi” burocratici, a noi incomprensibili, che possono in qualche modo metterci il bastone fra le ruote; si tratta di timori fondati, a volte, ma altre volte può trattarsi semplicemente di conoscenze e reminescenze confuse che non hanno nulla a che vedere con la nostra situazione. E’ il caso, ad esempio, della convinzione che la donna debba aspettare trecento giorni dopo il divorzio per potersi sposare di nuovo.

In effetti, l’art.89 del codice civile recita proprio così: “non può contrarre matrimonio la donna, se non dopo trecento giorni dallo scioglimento, dall’annullamento o dalla cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio”.

Ma la regola prevede un’eccezione di non poco conto: infatti, sono esclusi dal divieto i casi in cui lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili (alias divorzio) avviene dopo che sia stata pronunciata la separazione (giudiziale o consensuale che sia), oppure avviene per mancata consumazione del matrimonio.

Quali sono dunque i casi in cui è obbligatorio attendere i fatidici trecento giorni? Quelli, rari, in cui si è ottenuto il divorzio senza una previa separazione, poiché l’ormai ex marito è stato condannato a pene detentive, ergastolo o è colpevole di delitti particolarmente efferati.

E’ ora evidente, quindi, che in realtà l’eccezione è ben più vasta della regola e la stragrande maggioranza delle donne che si risposano per la seconda volta non sono minimamente toccate da quanto sancito dall’art.89.

Ma qual è la ratio della norma che pone un simile divieto?

Essa risiede nella “presunzione di concepimento durante il matrimonio”, poiché si prevede che si consideri figlio legittimo, cioè concepito in costanza di matrimonio, il figlio nato quando siano trascorsi almeno 180 giorni dalla celebrazione del matrimonio e non siano ancora trascorsi 300 giorni dalla data dell’annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio. Nel caso invece in cui il divorzio sia già preceduto da una separazione, si presuppone che il rapporto tra i due ex coniugi fosse terminato da tempo e non ci sia quindi il rischio di un concepimento!

In altre parole, un figlio concepito da una donna separata da meno di trecento giorni, oppure che ha ottenuto il divorzio senza passare per la separazione da meno di trecento giorni, è considerato figlio anche del marito della donna; a meno che non si provi il contrario…

Ed anche in questo caso, la realtà è ben più semplice di quanto non potrebbe apparire alla luce delle norme citate: per dimostrare che il nascituro non è figlio dell’ex coniuge, è sufficiente che il vero padre operi un riconoscimento presso l’anagrafe, dichiarando semplicemente che il figlio della donna in questione è anche il suo.

Soltanto se il marito si dovesse opporre a tale dichiarazione, e volesse lui stesso dichiararsi padre del nascituro, il giudizio sarebbe rimesso al Tribunale per i Minorenni, che procederebbe ad indagare, attraverso prove assolutamente non invasive attinenti al dna, chi è il vero padre del nascituro conteso