Paternità incerta e test del DNA

E’ evidente la portata devastante che può avere una notizia del genere sulla vita di una famiglia: nonostante ciò, ci sono molti padri che sono disposti ad accettare l’eventuale angoscia pur di conoscere la verità.

In Italia non è difficile sottoporre i propri figli ad un test sul DNA, test che negli ultimi anni è ancora meno invasivo di prima; infatti è sufficiente una modica quantità di saliva oppure un capello dotato di radice o qualche millilitro di urina o sangue: il laboratorio di analisi è in grado di dare una risposta circa una settimana dopo.

Ma cosa succede dal punto di vista legale?

E’ chiaro che è a carico del padre l’onere di provare che il figlio non sia stato generato da lui, nonostante il matrimonio con la madre: a tale scopo può chiedere al Tribunale di disporre una Consulenza Tecnica d’Ufficio.

Il padre che volesse disconoscere la propria paternità relativamente ad un figlio concepito nel matrimonio deve addurre una delle seguenti motivazioni: lui e la moglie non hanno coabitato nel periodo compreso tra il 300° ed il 180° giorno antecedente alla nascita; durante quello stesso periodo il marito era affetto da impotenza, anche soltanto di generare oppure la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto nascosta al marito la propria gravidanza.

L’azione di disconoscimento può però essere espressa dal tribunale entro dei termini ben precisi: per il padre, un anno dal giorno della nascita (se al momento della nascita del figlio, egli si trovava nel luogo di nascita dello stesso) oppure dal giorno del suo ritorno nel luogo in cui è nato il figlio, o la residenza famigliare (se viveva altrove).

Anche la madre può proporre l’azione di disconoscimento di paternità nel termine di 6 mesi dalla nascita del figlio; può farlo anche il figlio stesso entro un anno dal compimento della maggiore età o da quando viene a conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento.

Non è legittimato a proporre l’azione di disconoscimento di paternità il padre del bambino concepito e nato attraverso l’inseminazione di donatore ignoto, ovvero la “fecondazione assistita eterologa”, per la quale il marito abbia già dato il suo consenso.

Il Giudice nominerà, quale consulente tecnico, un professionista in grado di effettuare il test che accerterà se le caratteristiche genetiche del figlio siano o meno compatibili con quelle del presunto padre.

La sentenza che seguirà dichiarerà o meno il disconoscimento di paternità, con conseguenze di grandissima portata: infatti chi ha generato un figlio ha l’obbligo di mantenerlo, istruirlo ed educarlo, ma chi dimostra di non averlo concepito non ha più obblighi nei confronti dello stesso.

E’ interessante notare che, a difesa dei minori che purtroppo si trovano ad essere l’oggetto di tali conflitti familiari, la giurisprudenza ha sancito che un disconoscimento di paternità non fa venir meno automaticamente il cognome del figlio, soprattutto se il figlio non è più un neonato e viene ormai identificato con quel cognome a scuola o in tutte le altre circostanze sociali che lo coinvolgono.