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Dal triplo negativo alla speranza: la svolta di Sacituzumab, nuovo farmaco contro il tumore al seno
Stampa articoloUn farmaco rivoluzionario cambia il futuro del tumore al seno metastatico: nuove speranze per le pazienti HR+/HER2- e triplo negativo. Ecco come Sacituzumab govitecan sta riscrivendo la lotta al cancro.
In Italia, circa 40.000 donne convivono con un tumore al seno metastatico, una diagnosi che ogni anno colpisce 13.000 nuove pazienti. Per loro, il 2025 potrebbe segnare un punto di svolta grazie a Sacituzumab govitecan, un farmaco della categoria degli Antibody-Drug Conjugates (ADC) che ha ricevuto nuove indicazioni dall’AIFA.
Annunciato durante una conferenza stampa a Milano, questo trattamento apre nuove prospettive per il carcinoma mammario metastatico HR+/HER2- e anticipa il suo utilizzo alla seconda linea per il tumore al seno triplo negativo (mTNBC). Ma cosa rende questo farmaco così innovativo? E quali speranze porta alle pazienti?
Una rivoluzione chiamata ADC: come funziona Sacituzumab govitecan
Gli ADC, o farmaci-anticorpo coniugati, rappresentano una delle innovazioni più promettenti nella lotta ai tumori. Sacituzumab govitecan è un esempio perfetto: unisce un anticorpo monoclonale a una sostanza chemioterapica, creando un’arma precisa contro le cellule tumorali. “Riconosce i recettori sulle cellule maligne, penetra al loro interno e rilascia il chemioterapico in modo selettivo, riducendo i danni ai tessuti sani”, spiega il professor Michelino De Laurentiis, direttore del Dipartimento Corp-S dell’Istituto Nazionale Tumori IRCCS “Fondazione G. Pascale” di Napoli.
Questa tecnologia ha già rivoluzionato l’oncologia negli ultimi anni, e ora si prepara a cambiare le sorti di due forme di tumore al seno particolarmente insidiose: il carcinoma metastatico HR+/HER2-, che rappresenta il 70% delle diagnosi di tumore al seno, e il triplo negativo (mTNBC), noto per la sua aggressività e complessità terapeutica.
Nuove speranze per il carcinoma HR+/HER2-: sopravvivenza e controllo
Il tumore al seno metastatico HR+/HER2- (ormono-positivo, HER2-negativo) registra ogni anno tra 6.000 e 8.000 nuovi casi in Italia, con un tasso di sopravvivenza a cinque anni del 34%. Per queste pazienti, Sacituzumab govitecan è ora indicato dopo almeno una linea di terapia endocrina e due linee di chemioterapia. “I vantaggi rispetto alla chemioterapia tradizionale sono evidenti”, sottolinea De Laurentiis. “Lo studio TROPiCS-02 ha dimostrato che riduce il rischio di progressione della malattia del 34% e il rischio di decesso del 21%, migliorando la Progression-Free Survival e la sopravvivenza complessiva”.
Questi numeri si traducono in una possibilità concreta: cronicizzare la malattia, trasformandola da sentenza a condizione gestibile. Un passo avanti che offre alle pazienti non solo più tempo, ma anche una qualità di vita migliore.
Triplo negativo: un nome da cancellare con la seconda linea
Il tumore al seno triplo negativo (mTNBC), che rappresenta il 15% dei carcinomi mammari, è stato a lungo un nemico temuto. Privo dei recettori per estrogeni, progesterone e HER2, ha un tasso di sopravvivenza a cinque anni del 12% e poche opzioni terapeutiche. Ma ora Sacituzumab govitecan cambia le carte in tavola, con l’approvazione per l’uso in seconda linea, un anticipo rispetto alle fasi più avanzate della malattia.
“I dati scientifici mostrano che utilizzarlo precocemente aumenta le possibilità di risposta”, spiega la professoressa Lucia Del Mastro, direttrice della Clinica di Oncologia Medica dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova. “Intervenire in seconda linea significa agire quando la paziente ha ancora più risorse per combattere.” Durante la conferenza stampa, Del Mastro ha lanciato una proposta forte: “Dobbiamo eliminare il termine ‘triplo negativo’. Non riflette più la realtà: oggi abbiamo strumenti per affrontarlo”.
Una battaglia scientifica e culturale: ridefinire il triplo negativo
Il nome “triplo negativo” è nato per indicare una malattia senza bersagli terapeutici chiari, ma questa etichetta sta diventando obsoleta. “È un termine che abbiamo usato per raggruppare tumori diversi di cui non capivamo il comportamento”, aggiunge De Laurentiis. “Ora li stiamo decifrando, e – tra dieci anni questo termine non esisterà più”.
Del Mastro concorda: “Le donne hanno sviluppato un terrore per questa diagnosi. Come società scientifica, dobbiamo trovare un nome nuovo, che dia speranza”.
L’impegno di Gilead
Dietro questo progresso c’è Gilead Sciences Italia, l’azienda che ha sviluppato il farmaco. “Ci auguriamo che queste terapie siano presto disponibili in tutte le Regioni italiane”, ha dichiarato Frederico Da Silva, amministratore delegato di Gilead Italia. “Continueremo a investire in ricerca: oggi abbiamo 30 studi attivi per 20 nuove indicazioni entro il 2030, non solo per il tumore al seno, ma anche per altri tumori solidi”.
L’obiettivo è rendere il farmaco accessibile ovunque e spingere i confini della medicina oncologica, un impegno che potrebbe salvare migliaia di vite nei prossimi anni.