Delitto di Garlasco, la famiglia di Chiara Poggi valuta nuovi test DNA

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Nuove indagini sul delitto di Garlasco: la famiglia Poggi valuta l’estensione dei prelievi DNA per il maxi incidente probatorio del 17 giugno.

Chiara Poggi

Chiara Poggi

Il 13 agosto 2007, Chiara Poggi, 26 anni, veniva trovata senza vita nella sua villetta di Garlasco, in provincia di Pavia.

Un delitto che ha scosso l’Italia, portando alla condanna definitiva di Alberto Stasi, il suo fidanzato, a 16 anni di carcere nel 2015.

Oggi, a quasi 18 anni di distanza, il caso si riapre con nuove indagini che potrebbero riscrivere la storia giudiziaria. Al centro, un maxi incidente probatorio in programma il prossimo 17 giugno, che analizzerà tracce genetiche e l’impronta 33, attribuita ad Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, Marco Poggi. La famiglia Poggi, rappresentata dagli avvocati Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna, sta valutando di estendere i prelievi DNA per includere anche consulenti e investigatori coinvolti nelle indagini passate, per evitare ambiguità future.

Nuove analisi genetiche in arrivo

La giudice per le indagini preliminari di Pavia, Daniela Garlaschelli, ha disposto un maxi incidente probatorio per analizzare le tracce biologiche rinvenute sulle unghie di Chiara Poggi e su altri reperti mai esaminati, come confezioni di cibo e un tappetino del bagno. L’obiettivo è verificare l’utilizzabilità del DNA trovato e confrontarlo con i profili di diverse persone, tra cui Andrea Sempio, indagato per omicidio in concorso, e Alberto Stasi, già condannato. Le operazioni, affidate alla genetista Denise Albani e al dattiloscopista Domenico Marchigiani della Polizia Scientifica di Milano, inizieranno il 17 giugno a Milano e avranno una durata di 90 giorni, con un’udienza finale fissata per il 24 ottobre 2025 a Pavia.

La proposta della famiglia Poggi

La famiglia di Chiara Poggi sta valutando un passo significativo: estendere i prelievi DNA a consulenti, periti e carabinieri del RIS che hanno maneggiato i reperti negli ultimi 18 anni. “Mi pare ovvio che se dobbiamo confrontare delle tracce biologiche, è necessario farlo anche con i profili di chi quei reperti li ha maneggiati”, ha dichiarato a LaPresse il genetista Marzio Capra, consulente dei legali della famiglia Poggi. “Per evitare di trovarci fra anni con un possibile ‘Ignoto 3’ o ‘Ignoto 4’ che è semplicemente il DNA di un vecchio perito o carabiniere del RIS, oppure il mio che ho partecipato agli accertamenti”. Questa richiesta, ancora in fase di valutazione, potrebbe coinvolgere esperti come Francesco De Stefano, il perito che nel 2014, durante il processo d’appello bis, definì le tracce di DNA maschile e misto sulle unghie di Chiara come degradate, contaminate e non utili per identificare un soggetto specifico.

Il ruolo dell’impronta 33

Un elemento centrale delle nuove indagini è l’impronta 33, trovata sul muro delle scale vicino al corpo di Chiara Poggi e attribuita ad Andrea Sempio dagli esperti nominati dagli inquirenti. Questa impronta, definita “densa e carica di materiale biologico” dalla difesa di Alberto Stasi, potrebbe contenere sangue, secondo gli avvocati Giada Bocellari e Antonio De Rensis. La difesa sta lavorando a “brevi osservazioni tecniche” per richiedere ulteriori accertamenti su questa traccia, che potrebbe essere determinante per il caso. Tuttavia, il genetista Marzio Capra, consulente della famiglia Poggi, ha precisato che il colore rosato dell’impronta è dovuto al reagente ninidrina, non a sangue, smorzando alcune ipotesi.

Le posizioni delle difese

La difesa di Alberto Stasi, rappresentato da Giada Bocellari e Antonio De Rensis, non intende per ora richiedere ulteriori prelievi DNA. “No, per ora no, non chiederemo un’estensione. Poi vedremo,” ha dichiarato Bocellari, mantenendo una posizione cauta ma aperta a sviluppi futuri. Analogamente, gli avvocati di Andrea Sempio, Massimo Lovati e Angela Taccia, hanno escluso richieste di estensione dei prelievi, concentrandosi invece sulla “catena di custodia” dei reperti, per verificare se siano stati conservati correttamente negli anni. “Abbiamo chiesto di integrare i quesiti con la valutazione della ‘catena di custodia’, che tiene conto di come i reperti siano stati conservati,” ha spiegato Taccia, sottolineando l’importanza di considerare variabili come temperatura e passaggi tra laboratori.

Chi fornirà il DNA

L’udienza del 16 maggio, presieduta dalla gip Daniela Garlaschelli, ha stabilito l’acquisizione del DNA di diverse persone non indagate, per confronti genetici con le tracce repertate. Tra queste, le cugine di Chiara, le gemelle Paola e Stefania Cappa, l’amico di Stasi Marco Panzarasa, e gli amici di Marco Poggi e Sempio, Roberto Freddi, Mattia Capra e Alessandro Biasibetti. Saranno acquisiti anche i profili genetici del medico legale, di tre investigatori e dei soccorritori intervenuti sulla scena del crimine nel 2007. L’obiettivo è escludere contaminazioni e identificare eventuali corrispondenze con le tracce biologiche, come quelle sulle unghie di Chiara o su oggetti come scatole di biscotti e confezioni di yogurt.

Un’indagine che guarda al passato

Le nuove indagini non si limitano al DNA. Gli investigatori stanno analizzando anche reperti mai esaminati, come un frammento di tappetino da bagno e confezioni di cibo trovate nella villetta di Garlasco. Inoltre, sono emersi nuovi elementi, come un martello ritrovato in un canale a Tromello, che potrebbe essere l’arma del delitto, e alcune telefonate anonime ricevute da Chiara Poggi il giorno dell’omicidio, attualmente al vaglio dei carabinieri di Milano. Questi elementi, insieme all’impronta 33 e ai prelievi DNA, alimentano l’ipotesi di uno scenario alternativo a quello che ha portato alla condanna di Alberto Stasi.