Esami in gravidanza: cos’è l’ecocardiografia fetale e quando farla

di Claudia Scorza


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L’ecocardiografia fetale è un esame specifico sul feto che studia l’anatomia e la funzionalità del cuore del nascituro quando ancora si trova nel pancione. Solitamente viene effettuato per controllare più approfonditamente il cuore solo se il medico pensa che possa esistere per il bambino un rischio di malformazioni o patologie del cuore per infezioni gravidiche, patologie materne o fattori ereditari.

In genere l’ecocardiografia fetale si fa non prima della 20° settimana, dopo l’ecografia morfologica. Già con la morfologica l’ecografo osserva il cuore e tutte le sue strutture, ma talvolta è necessario compiere un’analisi più accurata, soprattutto nei casi in cui esiste già un fattore di rischio. In queste occasioni l’esame viene eseguito in concomitanza con l’ecografia morfologica.

In ogni caso, l’ecocardiografia fetale è sconsigliata prima della 20° settimana perché, per il livello di sviluppo e per la conformazione del feto, non viene garantita una diagnosi certa e affidabile. Una volta giunte le 20 settimane di gestazione, invece, l’approfondimento può essere eseguito in qualsiasi momento qualora ce ne fosse la necessità.

Il rischio di base, e cioè della popolazione generale, di concepire un feto affetto da malformazione cardiaca è di circa l’1%. Tuttavia, ci sono situazioni in cui tale rischio aumenta ed è necessario un esame più accurato. Il ginecologo, infatti, richiede questo specifico esame in caso di infezioni e malattie contratte dalla mamma, come citomegalovirus, coxscakie o rosolia e se la donna è affetta da diabete di tipo 1 ed è insulino-dipendente. Alcune volte è consigliato anche quando sono manifeste altre patologie materne, come malattie auto-immuni e se in famiglia sono stati riscontrati casi di cardiopatie congenite o malformazioni cardiache, cioè l’esistenza di precedenti nati affetti o la conclamata malformazione cardiaca in uno dei due genitori.

Esistono, però, altri casi in cui è necessario fare l’ecocardiografia fetale. Ad esempio se dall’amniocentesi è emersa un’alterazione cromosomica, se la translucenza nucale è superiore al 99° percentile e cioè oltre 3.5 mm, se la crescita del feto è improvvisamente rallentata nel secondo trimestre o se è stata rilevata un‘aritmia fetale e cioè un’alterazione del battito cardiaco.

Anche l’assunzione da parte della madre di farmaci di comprovata teratogenicità come anticonvulsivanti, acido retinoico, litio e alcool possono portare alla richiesta di questo esame. Infine, è consigliato nei casi in cui si tratti di gravidanze gemellari monocoriali per compiere un’indagine approfondita delle strutture cardiache dei feti.

È importante sapere che l’ecocardiografia fetale individua circa il 90% delle malformazioni cardiache, una percentuale più alta rispetto a quella delle ecografie di routine, pari a circa il 50-70%. Certo, alcune malformazioni possono non essere riscontrate, come dei piccoli difetti del setto interventricolare, mentre altre volte la diagnosi in utero di alcune anomalie rilevate con l’ecocardiografia fetale vengono smentite alla nascita. Può capitare, infatti, che un piccolo difetto interventricolare evidenziato durante la gestazione si fosse chiuso spontaneamente durante la crescita fetale per poi non presentarsi al momento della nascita.

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