La sindrome di Down, più propriamente trisomia 21, è una condizione cromosomica causata dalla presenza di una terza copia (o di una sua parte) del cromosoma 21. Si tratta della più comune anomalia cromosomica del genere umano, solitamente associata a un ritardo nella capacità cognitiva e nella crescita fisica, oltre che ad un particolare insieme di caratteristiche del viso.
La sindrome di Down deve il suo nome a John Langdon Down, un medico inglese, che nel 1866 descrisse per la prima volta le caratteristiche delle persone con la sindrome di Down. Nel 1959 lo scienziato Jerome Lejeune ha scoperto che le persone con sindrome di Down hanno un cromosoma in più nelle loro cellule.
Gli individui con questa sindrome possono avere alcune o tutte le seguenti caratteristiche fisiche:
La sindrome di Down non è una malattia e non può essere curata: è una caratteristica della persona che la accompagna per tutta la vita.
Il fattore che maggiormente influenza l’incidenza della sindrome di Down è l’età della madre. Quando una donna supera i circa 35 anni di età la probabilità di concepire un figlio affetto da tale condizione aumenta considerevolmente. Tuttavia non si deve ritenere che i bambini che presentano la sindrome abbiano per la maggior parte madri anziane; infatti solo circa 1 su 5 ha una madre di età superiore ai 35 anni, questo perché la maggior parte delle donne concepisce la propria prole in età inferiore.
Dati recenti suggeriscono che anche l’età paterna, in particolare quando supera i 42 anni, possa aumentare il rischio che la sindrome di Down si manifesti nel bambino.
La sindrome di Down può essere diagnosticata prima della nascita grazie ad un insieme di indagini di laboratorio e strumentali, di cui le più comuni sono:
E’ importante sottolineare che circa il 98% delle donne che presentano un Tritest positivo (e che quindi hanno un rischio più elevato di avere un bambino affetto dalla sindrome di Down) partoriscono un figlio perfettamente normale. Occorre inoltre ricordare che il Tritest individua all’incirca il 60% dei casi di sindrome di Down e che, d’altra parte, le madri con un Tritest negativo hanno lo stesso una probabilità, inferiore a 1:2000 nati, di avere un figlio affetto per cui l’esame serve prevalentemente ad individuare le gestanti con un rischio aumentato.
Per incrementare la stima del rischio di avere un bambino Down il Tritest viene ora associato al test della Translucenza Nucale.
L’aspettativa di vita delle persone con la sindrome di Down è in continuo aumento, soprattutto grazie ai progressi della cardiochirurgia: se negli anni ’40 l’aspettativa era di appena 12 anni e solo negli anni ’80 di 33, oggi in Italia e nella Unione Europea siamo a una media di 62, con un buon 80% di pazienti che raggiunge il cinquantacinquesimo anno d’età.
Il ritardo mentale è costantemente presente nei soggetti Down, ma il grado è variabile.
Se si sta decidendo di iniziare una gravidanza, è importante sapere che le probabilità di avere un bambino con sindrome di Down aumentano con l’aumentare dell’età materna: questo può aiutare a decidere di non rimandare troppo il momento della gravidanza. La valutazione del rischio in gravidanza è utile se si è già deciso di utilizzare o la villocentesi o l’amniocentesi per una diagnosi definitiva e solo dopo aver valutato attentamente i rischi di perdere la gravidanza legati alla procedura ostetrica. Il risultato dell’esame cromosomico fetale verrà affrontato con il supporto dell’equipe di medici del centro di diagnosi prenatale ma porrà comunque i genitori di fronte al dilemma riguardo la prosecuzione o l’interruzione volontaria della gravidanza in caso di diagnosi di sindrome di Down. Ciascuno di questi aspetti richiede una riflessione approfondita all’interno della coppia fin dal periodo preconcezionale, c’è infatti molto più tempo a disposizione per confrontarsi e riflettere quando la coppia non è pressata a prendere una decisione in brevissimo tempo.