L’Isola degli Arrusi: la storia sconosciuta dei 45 omosessuali deportati dal fascismo

di Redazione


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La storia di 45 gay siciliani deportati alle Isole Tremiti dal fascismo con l’accusa di pederastia diventa un libro e anche una mostra. Si chiama L’isola degli arrusi, omosessuali al confino nell’Italia fascista il progetto fotografico che porta la firma di una donna, Luana Rigolli. Sarà esposto dal 16 settembre fino all’8 ottobre al Caffè letterario Galleria di Cefalù, in provincia di Palermo.

Luana Rigolli è nata Piacenza nel 1983 ed è laureata in Ingegneria Civile. Dopo aver studiato fotogiornalismo alla Fondazione Studio Marangoni con il collettivo Terraprojectattualmente, si è trasferita a Roma dove vive e lavora come fotografa. La sua ricerca si muove prestando attenzione all’analisi storica e all’interazione uomo-paesaggio. È socio fondatore del “Dieci x Dieci Contemporary Photography Festival” che si tiene dal 2015 a Gonzaga. Ha pubblicato su varie riviste, come National Geographic, Mare, Il Post, T Magazine del New York Times. La fotografia è, indubbiamente, per Luana Rigolli il mezzo immediato, e quanto mai efficace, per arrivare a più persone. 

Abbiamo parlato con lei del suo progetto fotografico e della mostra. 

Come è nata l’idea di un libro e di una mostra sulla storia dei 45 omosessuali deportati durante il fascismo? Lei è nata a Piacenza, ma per metà è siciliana, giusto? Come è venuta a conoscenza di questa storia? Innanzitutto il libro, già il titolo è molto forte: cosa racconta e cosa raccoglie? Tra i momenti più umilianti di cui si parla, quello delle visite mediche…

Quasi tutte le mie ricerche fotografiche riguardano o la storia (in genere del ‘900), o le isole. Sono le mie due grandi passioni, almeno per il momento. A febbraio 2019 sono entrata in una libreria e come sempre sono andata nel reparto storia, alla ricerca di libri che potessero darmi alcune idee per nuovi progetti. Ho trovato un libricino che si intitolava “La città e l’isola”, e ovviamente l’ho subito preso in mano. Parlava appunto della storia degli omosessuali di Catania confinati durante il fascismo. In quel preciso momento ho capito che volevo raccontare questa storia con la fotografia, prima ancora di leggerlo. Poi leggendo il libro (di Giartosio e Goretti, che negli anni ’90 sono riusciti ad intervistare uno dei confinati ancora in vita) ovviamente non ho fatto altro che consolidare la mia idea di farne un progetto fotografico. Io non sapevo nulla di tutto questo prima di allora, non avevo neanche idea che gli omosessuali fossero stati perseguitati e poi confinati durante il regime fascista. E’ una cosa che sui libri di scuola (almeno 20/25 anni fa, ma mi dicono anche ora) non è mai citata. Si parla sempre degli ebrei, oppositori politici o qualche altra minoranza come i Rom, ma gli omosessuali non li ho mai visti citati tra i perseguitati. Catania poi è stato un caso eclatante da questo punto di vista perché è stata la città con più arresti per pederastia passiva (l’accusa che veniva data agli omosessuali), con 45 arresti.

Non è semplicissimo raccontare una storia in cui i protagonisti sono tutti morti. Il più giovane dei confinati catanesi era del 1920, quindi anche volendo sarebbe stato difficile trovarlo in vita nel 2019. Per fortuna sapevo, grazie al libro “La città e l’isola” che all’archivio centrale di Stato a Roma avrei trovato tutti i documenti riguardanti i confinati. Quindi ho deciso di andare avanti con la mia idea di documentare fotograficamente la storia. Il mio problema principale è stato reperire i nomi dei 45 catanesi perché nel libro di Goretti e Giartosio i nomi sono tutti falsi, per motivi di privacy. Per un caso fortunato un po’ difficile da spiegare qui, sono riuscita a trovare in Archivio da sola tutti i loro nomi e una volta risolto questo grosso problema ho potuto consultare e fotografare le cartelle biografiche dei 45 “arrusi” (come venivano chiamati in modo dispregiativo gli omosessuali in Sicilia). Nelle cartelle biografiche ho trovato tanto materiale, oltre alle loro foto, scattate al momento del fermo, ho potuto consultare i verbali di arresto, da cui ho ricavato tantissime informazioni sui luoghi che loro frequentavano a Catania prima di essere arrestati, i referti delle visite mediche a cui erano sottoposti per attestarne la pederastia passiva (in modo ovviamente discutibile e abbastanza arbitrario), le lettere che i confinati e i loro parenti scrivevano per chiedere la grazia.

Grazie a queste informazioni, a Catania ho potuto fotografare i luoghi che gli arrusi frequentavano prima di essere arrestati e a San Domino ho fotografati i luoghi di confino. Da un punto di vista artistico a Catania ho cercato di fare foto quasi sempre di sera o notte perché era in questi momenti che gli omosessuali vivevano la clandestinità dei loro incontri, e invece a San Domino ho fotografato solo di giorno, perché era solo di giorno che i confinati vivevano l’isola in quanto alla sera erano chiusi nei cameroni, da cui erano liberati solo al mattino seguente.

Ovviamente sono stata a Catania e a San Domino varie volte e ho cercato anche di incontrare persone che in qualche modo conoscessero la storia e anche che avessero conosciuto qualcuno di loro sia a Catania dopo il confino o a San Domino durante il confino. Ho trovato in entrambi i casi persone che mi hanno raccontato alcune cose e che mi sono stati di aiuto.

Poi ho fatto una ricerca anche su alcuni oggetti che potevano aiutarmi nel racconto fotografico, come ad esempio uno speculum anale degli anni ’20 che ho trovato al Museo di Storia della Medicina della Sapienza a Roma, e che verosimilmente si avvicina a quello usato per le visite mediche a cui i confinati sono stati sottoposti per attestarne la pederastia passiva, oppure la “carta di permanenza” (un libretto rosso) assegnata ad ogni confinato italiano, e quindi anche ai nostri 45 catanesi, all’arrivo nella sede del confino, e in cui erano presenti tutti i dati del confinato.

Per fortuna ho scattato la maggior parte delle foto e soprattutto ho concluso la ricerca in Archivio prima del marzo 2020, altrimenti avrei avuto grossi problemi e ritardi.
Durante la pandemia ho anche avuto tempo di trascrivere a computer tutte le lettere e i verbali di cui avevo scattato le foto in archivio e questo è stato materiale prezioso per il confezionamento del libro sulla mia ricerca.

Nel 2022 ho deciso di autoprodurmi il libro in 400 copie. Mi sembrava naturale concludere questa ricerca con qualcosa che rimanesse, e quindi ho pensato subito ad un libro. Nel libro si trovano le foto scattate a Catania, a San Domino, alcuni materiali di archivio, e nella seconda parte ci sono tutti i volti dei 45 omosessuali di Catania accostati alla trascrizione di una lettera o al verbale di arresto (in base a cosa fosse più interessante per ognuno di loro).

Come titolo ho scelto di usare “L’isola degli arrusi”, isola perché è stata la destinazione finale del confino, e arrusi perché come dicevo prima è il termine dispregiativo con cui venivano chiamati gli omosessuali in Sicilia soprattutto nel secolo scorso. Nella copertina del libro ho cercato di ricreare la forma e la grafica della “carta di permanenza”, il libretto rosso consegnato ai confinati italiani.

Ho usato due tipi di carte, per la prima e la seconda parte e ho scelto una rilegatura particolare (brossura svizzera a dorso scoperto) per permettere un’apertura delle pagine quasi totale.
Ho fatto tutto da sola: la grafica, la selezione delle foto e dei testi. Per rispondere poi alla domanda: si, sono per metà siciliana e metà emiliana. Sono nata e cresciuta in Emilia, in quanto mio papà è della provincia di Piacenza, ma mia mamma è della provincia di Messina, e sento forte il legame con la Sicilia, che bene o male è spesso protagonista delle mie ricerche fotografiche.

Cosa rischiavano gli uomini omosessuali durante il fascismo? Sa cosa succedeva alle donne omosessuali?

Durante il fascismo non c’era una vera e propria legge contro l’omosessualità. Nell’Italia fascista non si poteva affermare che c’erano casi di omosessualità nella nazione. Motivo per cui le persecuzioni e gli arresti contro gli omosessuali iniziano dopo il 1938, con l’emanazione del Codice Rocco e delle leggi razziali. Infatti l’accusa per cui sono stati arrestati e mandati al confino centinaia di omosessuali in Italia è quella di aver commesso reati contro l’integrità della razza italiana e contro il buon costume. La pederastia passiva era punita con l’arresto e con il confino in località remote per la durata di 5 anni. Ci sono meno studi su quello che avveniva alle donne lesbiche, ma posso affermare che molte di esse sono state mandate in manicomio, perchè assumevano atteggiamenti lontani da quello che ci si aspettava da una donna “angelo del focolare”.

Veniamo alla mostra… cosa vedranno i visitatori?

Al ristorante Galleria – Caffè Letterario di Cefalù ci sarà la presentazione del libro “L’isola degli arrusi” sabato 16 settembre alle ore 18. In occasione della presentazione ci saranno anche l’attore Vincenzo Crivello che leggerà alcune delle lettere scritte dai confinati per ricevere la grazia e ci sarà lo spettacolo “I Pupi Antimafia” di Angelo Sicilia e Giuseppe Quolantoni. Saranno esposte anche alcune delle fotografie della mia ricerca, fino all’ 8 ottobre.

Discriminazioni di genere: come è cambiata negli anni la visione nei confronti dell’omosessualità? Molti passi sono stati fatti, ma ancora troppo spesso la cronaca ci racconta di violenze. Cosa potrebbe fare la politica oggi?

Purtroppo temo che in Italia le questioni LGBT+ siano ancora messe troppo in secondo piano, e al grande pubblico interessano poco. Oltre che siamo un paese che non ha mai fatto i conti con il suo passato, e in particolare con il ventennio fascista. C’è sempre un po’ la tendenza a passare sopra a storie come questa. Ovviamente quando espongo questo lavoro la prima reazione delle persone è quello dello stupore, tutti mi dicono che non conoscevano la storia e mi ringraziano. E io ne sono felice, è proprio quello che volevo. Come dicevo è una storia sconosciuta ai più, e nel mio piccolo cerco di fare in modo che più persone ne vengano a conoscenza per avere una maggiore consapevolezza di quello che è stato per evitare che ricapitino cose simili in futuro. Per poter superare questo tipo di discriminazioni ci vorrebbe un gran lavoro nelle scuole, per insegnare fin da piccoli che le differenze di identità di genere, ma anche di etnia, sociali o di qualsiasi altro tipo, non sono cose che portano a pericoli, ma solo ad una ricchezza di visioni e valori. Ci vuole tempo ma ce la si può fare.

Progetti per il futuro?

Sono ancora in fase di studio, ma penso che porterò avanti un altro lavoro che riguarda una storia particolare sulla Sicilia e le sue isole. Non sarà una storia in stile documentaristico, ma più legato a suggestioni e mitologia. 

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