L’odio sociale dopo lo stupro di Palermo: la violenza non è la risposta

di Walter Giannò


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C’è una regola quando accadono casi delicati come una violenza sessuale. Non rilevare dettagli tali da contribuire all’identificazione della vittima. Perché, al primo posto, nella cronaca di uno stupro, di un abuso su un minore, ecc., c’è la vittima. Va tutelata e protetta. Va risparmiata dalle conseguenze sociali del riconoscimento.

Eppure, nel caso dello stupro di Palermo, si è andato oltre, a cominciare dai nomi, cognomi e facce dei sette mostri. E, nell’era dei social media, è fin troppo facile risalire alle conoscenze comuni e, quindi, alla vittima. Il diritto di cronaca è sacro ma lo è di più la persona.

Poi, c’è l’elemento dell’odio sociale. Quanto commesso da quei ragazzi è brutale. Orribile. Ma sarà pur sempre un processo a giudicarli e a infliggergli la pena relativa. Fortunatamente, viviamo in uno stato di diritto dove i processi sommari ‘a furor di popolo’ non sono ammessi. Dove le gogne medievali, le punizioni fisiche, le torture, le castrazioni, non sono più ovviamente consentite.

Eppure, basta farsi un giro qua e là – e soprattutto nel social media più giovane del momento che è TikTok – per toccare ‘con gli occhi’ una rabbia che va al di là del legittimo disprezzo per un reato così aberrante. C’è chi vorrebbe rispondere alla violenza con la violenza. C’è chi inneggia alla vendetta, come se questa storiaccia fosse il soggetto di un film dove il papà se ne va in giro con il fucile per sterminare tutti coloro che hanno fatto del male alla figlia. No, non va bene.

Questa società dove una ragazza vive un incubo perché vittima dell’anomala e malata goliardia di scanazzati è altrettanto malata e incapace di autocritica e di arrivare a dei correttivi. Troppo facile sbattere i mostri in prima pagina e pulirsi le mani come un Ponzio Pilato qualsiasi, con l’auspicio di vederli crocifissi e goderne. Nessuno che si guarda allo specchio e si dice: “Ma che cazzo sta succedendo? Invece di andare avanti, stiamo andando indietro… perché?”.

Il grande punto di questa faccenda può suonare banale: la morte dei valori. Tutto è lecito, tutto è condivisibile, tutto è figo, tutto è divertente, tutto è like. Tutto è carne. Nulla è anima.

Ci vorrebbe una rieducazione di massa con severe misure per chi non ne recepisce le lezioni. Come il DASPO da applicare ai social media, con profili che si possono registrare solo previa verifica del documento d’identità e, quindi, per cominciare, solo in caso di maggiore età.

Altrimenti, fra un po’ di tempo, dopo tutto questo moto d’odio e di disprezzo, ci sarà un nuovo branco e una nuova povera ragazza. A Palermo o a Bolzano. E di nuovo, tutti vittime di un loop perpetuo.

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