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Delitto di Garlasco, a rischio la semilibertà di Alberto Stasi

Il caso del delitto di Garlasco, che il 13 agosto 2007 ha sconvolto l’Italia con l’omicidio di Chiara Poggi, è al centro dell’attenzione da settimane. Oggi, 1° luglio, la Corte di Cassazione si riunisce per decidere sulla semilibertà concessa ad Alberto Stasi, condannato in via definitiva a 16 anni di carcere per l’uccisione della fidanzata.

Parallelamente, le recenti analisi genetiche condotte dalla perita Denise Albani sui reperti mai esaminati della villetta di via Pascoli non sembrano offrire nuovi spiragli per riscrivere la storia del delitto. Ecco cosa sta accadendo.

La decisione sulla semilibertà di Stasi

Oggi la Corte di Cassazione esamina il ricorso della Procura generale di Milano, che ha chiesto l’annullamento del provvedimento di semilibertà concesso ad Alberto Stasi l’11 aprile 2025 dal Tribunale di Sorveglianza di Milano, effettivo dal 28 aprile. Stasi, 41 anni, detenuto nel carcere di Bollate, può attualmente uscire di giorno per lavorare o svolgere attività utili al reinserimento sociale, rientrando in cella ogni sera. Tuttavia, la Procura, guidata da Francesca Nanni, contesta la legittimità dell’ordinanza, evidenziando “vizi di motivazione” su più fronti. Tra questi, un’intervista televisiva non autorizzata rilasciata da Stasi il 30 marzo durante un permesso premio, ritenuta estranea ai motivi familiari, culturali o lavorativi previsti per tali benefici.

L’udienza, probabilmente “cartolare” senza la presenza delle parti, vedrà i giudici valutare il ricorso, le osservazioni del procuratore generale della Cassazione e le eventuali memorie della difesa di Stasi. Le opzioni sono due: confermare la semilibertà o annullare il provvedimento, rinviando la questione al Tribunale di Sorveglianza per una nuova valutazione. La decisione è attesa con grande attenzione, non solo per il destino di Stasi, ma anche per il peso emotivo che il caso continua a esercitare sull’opinione pubblica.

Nuove analisi DNA: solo conferme per Stasi e Poggi

Sul fronte investigativo, le recenti analisi genetiche condotte nell’ambito del maxi incidente probatorio non sembrano offrire elementi per scardinare la condanna di Stasi. La genetista forense Denise Albani, nominata dal gip di Pavia Daniela Garlaschelli, ha analizzato i reperti della spazzatura sequestrata nella villetta di via Pascoli, mai esaminati nei 18 anni successivi al delitto. I risultati, depositati e inviati alle parti oggi, confermano che il DNA trovato su piattino, sacchetto dei cereali, Fruttolo e linguette appartiene quasi esclusivamente a Chiara Poggi. L’unica traccia genetica diversa, rinvenuta sulla cannuccia di un brick di Estathé, è riconducibile ad Alberto Stasi.

Questi esiti, anticipati da Corriere della Sera e Il Tempo, non supportano l’inchiesta alternativa della Procura di Pavia, che ha iscritto nel registro degli indagati Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, già archiviato nel 2017. La tesi investigativa suggeriva che la pattumiera contenesse tracce della colazione consumata da Chiara con i suoi assassini, ma l’assenza di DNA di terzi rafforza la ricostruzione che vede Stasi come unico presente. L’avvocata Angela Taccia, legale di Sempio, ha commentato: “I primi risultati emersi dalle analisi confermano quanto già ribadito più volte dal mio assistito Andrea Sempio e cioè che egli non è mai entrato in quella casa il 13 agosto 2007.”

Chiara Poggi

Le ombre sulla scena del crimine

Nonostante i risultati genetici, il caso rimane avvolto da interrogativi. L’avvocato di Stasi, Antonio De Rensis, intervenuto al programma Filorosso su Rai 3, ha ribadito la necessità di concentrarsi sui fatti: “Ritengo che sulla scena fosse presente più di una persona, con ruoli diversi, però le mie idee me le tengo strette”. De Rensis ha puntato il dito su presunti errori investigativi, come la gestione del corpo di Chiara, voltato dopo essere stato fotografato dai carabinieri e immerso in una pozza di sangue, compromettendo potenzialmente le prove. “Non ho sentito nessuno chiedere scusa per gli errori fatti”, ha dichiarato, sottolineando le “quattro impronte sul pigiamino di Chiara” che, a suo avviso, avrebbero potuto risolvere il caso in poche ore.

La difesa di Stasi insiste sull’importanza delle nuove analisi, anche a 18 anni di distanza. “Sappiamo che la lattina di birra doppia che ha bevuto Alberto esiste perché era nel frigo,  ha spiegato De Rensis, riferendosi alle dichiarazioni di Stasi che confermavano di aver consumato una birra la sera prima del delitto. Le analisi sulla spazzatura, secondo il legale, dimostrano che i reperti possono ancora fornire risposte utili, nonostante il tempo trascorso.

La “Traccia 10” e le impronte dimenticate

Un altro elemento sotto esame è la cosiddetta “Traccia 10”, un’impronta “sporca” trovata sulla parte interna della porta della villetta, non attribuita a nessuno. La difesa di Stasi ha richiesto un nuovo test per verificare la presenza di sangue, dopo che i primi esami avevano dato esito negativo. Inoltre, sono emerse due impronte mai considerate nelle indagini iniziali: una su una porta che conduce alla cantina, l’altra sulla cornetta del telefono fisso. Questi elementi, insieme al frammento di muscolo di Chiara e al tappetino insanguinato, sono al vaglio per cercare nuove risposte. Tuttavia, al momento, le indagini non sembrano aprire scenari alternativi.

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