Dalla convivenza al compossesso: sui diritti delle coppie non sposate

di francesca


Sei su Telegram? Ti piacciono le nostre notizie? Segui il canale di DonnaClick! Iscriviti, cliccando qui!
UNISCITI

E’ noto come la convivenza more uxorio, in questi anni in cui il numero dei matrimoni diminuisce mentre le convivenze aumentano, trovi riconoscimenti sia legislativi che giurisprudenziali sempre più diffusi. In assenza di una normativa organica sulla convivenza non fondata sul matrimonio, l’importanza di tale scelta ha spinto sia il legislatore che la giurisprudenza ad individuare la convivenza more uxorio come fonte di doveri morali e sociali di ciascun convivente nei confronti dell’altro. Norme in questo senso si trovano in tema di filiazione, dove la L. 219/2012 ha eliminato ogni residua discriminazione tra i figli naturali e legittimi, nel rispetto dell’art. 30 Cost.; in tema di adozione, dove la L. 184/1983, modificata dalla L. 149/2001 ha esteso la valutazione di idoneità e stabilità della coppia, finalizzata all’adozione, anche al periodo di convivenza prematrimoniale; o ancora nell’art. 408 c.c., novellato dalla L. 6/1994, ove è precisato che la scelta dell’amministratore di sostegno può cadere anche sulla persona stabilmente convivente. Allo stesso modo anche il Codice di Procedura Penale, all’art. 199 prevede la facoltà di astenersi dal deporre anche per il convivente dell’imputato e agli artt. 342 bis e 343 ter cod.civ.,  introdotti dalla L. 154/2001, estendono al convivente gli ordini di protezione contro gli abusi familiari.

La spinta riformatrice volta a riconoscere rilevanza giuridica al rapporto di convivenza è stata sostenuta anche dalla giurisprudenza che, con numerose pronunce ha escluso il diritto del convivente more uxorio di ripetere le eventuali attribuzioni patrimoniali effettuate nel corso delle convivenza, ha riconosciuto il diritto del convivente al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale per la morte del compagno o della compagna provocata da un terzo e ha sancito la rilevanza alla convivenza intrapresa dal coniuge separato o divorziato ai fini dell’assegno di mantenimento o di quello di divorzio. E’ evidente che negli anni più recenti la convivenza ha assunto sempre maggiore importanza, al punto che la stessa Corte Costituzionale non solo ha riconosciuto che “un consolidato rapporto, ancorché di fatto, non appare costituzionalmente irrilevante quando si abbia riguardo al rilievo offerto al riconoscimento delle formazioni sociali e alle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche” (Sent. 237/1986), ove per “per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico” (Sent. 138/2010), ma ha altresì dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 6 della legge sulla locazione d’immobili urbani 27 luglio 1978, n. 392. Con tale pronuncia la Corte Costituzionale ha posto il convivente more uxorio tra i successibili nella locazione, in caso di morte del conduttore, e ha stabilito che il convivente medesimo, affidatario di prole naturale, succede al conduttore che abbia cessato la convivenza.

La costante attenzione del Legislatore e della Giurisprudenza ha conferito al vincolo della convivenza un’importanza sempre maggiore dal punto di vista giuridico, giungendo sino a riconoscere una tutela giuridica a situazioni prima ignorate. Fino ad oggi, infatti, la giurisprudenza ha costantemente affermato il principio secondo cui la sola convivenza non attribuisce al convivente del possessore di un determinato bene (per esempio dell’abitazione in cui la coppia vive) un potere autonomo sulla cosa. In questa prospettiva, pertanto, la convivenza non legittimerebbe il soggetto non proprietario dell’immobile ad esperire un’azione di reintegra nel possesso, nel caso in cui questi venisse privato del bene, lasciandolo, di fatto privo di alcuna tutela. Il convivente non proprietario sarebbe, infatti, relegato nell’indifesa posizione dell’ospite, del tollerato, paradossalmente parificato al personale domestico. Pur restando ferma sulla propria posizione, la giurisprudenza ha lentamente fatto qualche passo avanti, soprattutto con riferimento a situazioni che vedevano “persone legate da rapporti di parentela o di affinità e conviventi”, in particolare in tema di usucapione, ma fino ad oggi poteva ritenersi fondata la tesi per cui la convivenza more uxorio non comportava automaticamente una situazione di compossesso dell’abitazione, poiché la libera convivenza è un’unione basata sull’affetto reciproco e caratterizzata da precarietà, ove, in mancanza dei caratteri propri del matrimonio, cesserebbe di produrre i suoi effetti nel momento in cui i conviventi decidono di porvi fine e per tale ragione rimaneva esclusa ogni possibilità di ricollegare ad essa gli effetti giuridici propri del possesso.

Tuttavia, con la recente sentenza n. 7214 del 2013, la Corte di Cassazione ha invece precisato che la famiglia di fatto è compresa tra le formazioni sociali che l’art. 2 Cost., considera la sede di svolgimento della personalità individuale, e che conseguentemente il convivente gode della casa familiare, di proprietà del compagno o della compagna, per soddisfare un interesse proprio, oltre che della coppia, sulla base di un titolo a contenuto e matrice personale la cui rilevanza sul piano della giuridicità è custodita dalla Costituzione. La convivenza more uxorio fa sorgere, pertanto, sull’abitazione ove la coppia convive, un potere di fatto basato su un interesse proprio diverso da quello derivante dall’ospitalità. Di conseguenza, l’estromissione violenta o clandestina del convivente dall’abitazione, compiuta dal partner, giustifica il ricorso alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio nei confronti del partner anche se il convivente espromesso non vanti un diritto di proprietà sull’immobile che, durante la convivenza, sia stato nella disponibilità di entrambi.

In questo modo, senza parificare la convivenza more uxorio ed il matrimonio, contrastante con la stessa volontà degli interessati, che hanno liberamente scelto di non vincolarsi con il matrimonio proprio per evitare, in tutto o in parte, le conseguenze legali che discendono dal rapporto coniugale, la Corte di Cassazione ritiene che questa distinzione non comporti che, nella convivenza che abbia carattere di stabilità, esclusività e contribuzione e le caratteristiche della comunità familiare, il rapporto del convivente non proprietario con l’abitazione ove la coppia vive, di proprietà dell’altro convivente, si fondi su un titolo giuridicamente irrilevante quale l’ospitalità, bensì, che esso si fondi su un negozio a contenuto personale nato dalla scelta di instaurare un consorzio familiare. Per contro, l’assenza di un giudice della dissoluzione del menage non consente al convivente proprietario di ricorrere alle vie di fatto per estromettere l’altro dall’abitazione, perchè il canone della buona fede e della correttezza, dettato a protezione dei soggetti più esposti e delle situazioni di affidamento, impone al legittimo titolare che, cessato il legame affettivo, intenda recuperare, com’è suo diritto, l’esclusiva disponibilità dell’immobile, di avvisare il partner e di concedergli un termine congruo per reperire altra sistemazione.

Dalla stessa categoria

Lascia un commento

Correlati Categoria