“Ne uccide più la lingua”, il libro che tutte le donne dovrebbero leggere

di Romina Ferrante


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Il 25 novembre in tutto il mondo si celebra la Giornata contro la violenza sulle donne, una violenza non solo fisica, ma anche psicologica, che ogni anno miete migliaia di vittime, soprattutto in Italia.

La violenza passa però anche dal linguaggio, ancora oggi profondamente intriso di stereotipi sessisti, tipici di una cultura maschilista e patriarcale.

Alle parole a volte si dà poca importanza, in realtà quando si parla di donne o di minoranze spesso le parole perdono la loro neutralità e si caricano di pregiudizi e atteggiamenti sottilmente discriminatori. E più queste parole entrano a far parte del nostro vocabolario, più influiscono sul nostro modo di vedere il mondo.

Cosa fare allora? Ce lo spiega Valeria Fonte nel suo libro “Ne uccide più la lingua”, dal sottotitolo “Smontare e contestare la discriminazione di genere che passa per le parole”.

 

Dobbiamo scardinare l’odio delle parole

“Cerca di passarci sopra, dai”, “Non dovevi vestirti così”, “Potevi dire no”, “Lo stupro è un’altra cosa”, “Perché non hai denunciato?”, “L’ha uccisa in un raptus di gelosia”, “Sei troppo aggressiva” sono solo alcune delle frasi che appartengono alla nostra quotidianità e che non fanno altro che perpetuare una cultura profondamente maschilista.

Il testo della giovane filologa e attivista è una lucida disamina della retorica femminista, che imperversa nel nostro Paese. L’obiettivo è quello di mettere in atto una sorta di contro-narrativa o almeno di svelare quanto il linguaggio, che usiamo tutti i giorni sia l’espressione di una cultura misogina, etero, bianca e cis gender, che rischia di condizionare la nostra stessa visione del mondo.

Secondo la scrittrice l’unica ricetta contro l’odio di genere, veicolato attraverso il linguaggio, è quello di imparare a riconoscere, decostruire e cambiare una volta e per tutte queste parole.

“Le parole ammazzano. Solo perché non c’è sangue non vuol dire che non ci siano ferite”

Come ha commentato durante un’intervista a Vanity Fair “A noi donne hanno insegnato che bisogna lasciar correre, magari ci si logora dentro, ma fuori è meglio che la rabbia non trapeli. Invece io credo che arrabbiarsi permetta di rompere il gioco. Creare indignazione toglie il potere a chi attua atteggiamenti misogini: se io dico di me stessa che sono una troia, l’altro sarà spiazzato e non saprà come attaccarmi. Ma mi domando: quando inizieremo a parlare di educazione? Le parole ammazzano. Solo perché non c’è sangue non vuol dire che non ci siano ferite”.

Smontando questo linguaggio scorretto Valeria Fonte ci offre un’arma in più, aprendoci gli occhi, insegnando ad indignarci, ma anche a difenderci trovando le nostre stesse parole.

Chi è Valeria Fonte

Valeria Fonte è nata a Trapani nel 1998. Il suo interesse per la lingua e la retorica è emerso durante i suoi studi universitari presso la Facoltà di Lettere all’Università di Bologna. È nota al pubblico grazie al profilo Instagram @valeriafonte.point, da cui ha preso le mosse la sua opera di attivismo. Oggi lavora nelle scuole e nelle università come divulgatrice ed è  una laureanda alla magistrale di Italianistica a Bologna, una militante di strada e una retore.

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