Che differenza c’è tra assegno divorzile e di mantenimento, in che modo si applicano le due misure previste dalla legge? Ci spiega tutto L’avv. Cristiana Covaleov
Affidamento condiviso: quando in gioco c’è il futuro dei nostri figli
La legge n. 54 del 2006 ha introdotto finalmente in Italia l’istituto dell’affidamento condiviso, che nella gran parte dei Paesi europei esisteva da tempo. La riforma ha sancito il principio della bigenitorialità nei confronti dei figli minori, cioè della corresponsabilità di entrambi per l’istruzione, il mantenimento e l’educazione dei figli, anche in caso di separazione.
Nelle aule dei nostri Tribunali il vecchio affido si traduceva, in percentuale altissima, in affidamento alla madre, molto spesso negando ai papà il diritto/dovere di esercitare la loro funzione educativa. Al genitore non affidatario rimaneva il diritto di verificare che l’altro non prendesse decisioni contrarie all’interesse del bambino, con la possibilità di rivolgersi, se necessario, anche al Giudice. Non era però raro che, o per la poca frequentazione, o per la più o meno consapevole influenza negativa del genitore affidatario, il rapporto con l’altro genitore si affievoliva, riducendosi a sporadici incontri in occasioni speciali o festività.
Questo vecchio tipo di affidamento rimane teoricamente possibile, ma il Giudice lo dispone soltanto nel caso in cui accerti inequivocabilmente che l’affidamento ad entrambi i genitori si riveli dannoso o almeno contrario agli interessi del minore.
Avendo accettato i risultati di numerose ricerche psicologiche per cui il bambino ha bisogno di un rapporto equilibrato con entrambi i genitori, la normativa ha come scopo quello di tutelare proprio i figli, che spesso scontano maggiormente gli effetti negativi della disgregazione della famiglia.
Sostanzialmente si pretende che i genitori che si separano concordino un piano educativo valido per i loro figli, lasciando da parte tutti i motivi di conflitto che hanno portato alla fine della coppia.
I figli, soprattutto minori, fermo restando il diritto ad avere un luogo stabile dove risiedere, hanno anche il diritto di mantenere un rapporto costante con il genitore con cui non vivono per poter continuare a godere del suo affetto e della sua funzione educativa, senza il rischio di perderli.
Naturalmente tutto questo risulta di difficile applicazione nelle ipotesi di grandissima conflittualità tra i genitori: nel tentativo di ovviare a tale prevedibile problematica, la normativa in vigore ha sancito che il Giudice possa spingere le parti (ma non obbligarle!) a tentare una mediazione, avvalendosi dell’aiuto di esperti. In questo modo i due ex partner dovrebbero riprendere una comunicazione più serena, fino ad arrivare a un accordo per occuparsi congiuntamente e consapevolmente dei progetti educativi dei propri figli, al di là dei loro personali conflitti.
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