Gravidanza, cos’è il monitoraggio cardiotocografico e a cosa serve

di Elisa Malizia


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Durante la gravidanza, la futura mamma deve effettuare alcuni esami per monitorare l’andamento della gravidanza stessa e la salute del nascituro. Tra questi c’è il cosiddetto monitoraggio cardiotocografico, un esame non invasivo che non comporta rischi né per la mamma né per il bambino, ma che è molto utile per controllare lo stato di salute del bambino: vediamo a cos’è, a cosa serve e come si effettua.

Monitoraggio cardiotocografico: cos’è?

Questo esame serve a constatare la salute del nascituro, in particolare ne rileva la frequenza cardiaca, oltre a valutare l’attività delle contrazioni uterine della mamma. È un esame che si effettua verso la fine della gravidanza, dalla trentesima settimana in poi, ma può essere anticipato se il ginecologo lo ritiene opportuno. Di norma questo esame viene svolto anche durante il parto, proprio perché permette di controllare la frequenza dei battiti del bambino e delle contrazioni della partoriente.

Monitoraggio cardiotocografico: a cosa serve?

Questo esame permette, come detto, di tenere sotto controllo il battito cardiaco del bambino e l’attività contrattile della mamma, per questo durante il travaglio è un esame spesso usato. La semplicità dell’esame stesso e l’invasività nulla permettono rilevazioni in tempo reale molto utili ai medici, sia nelle ultime settimane prima del parto, sia durante. Si effettua, comunque, solo in caso di bisogno, rilevato dal ginecologo.

Monitoraggio cardiotocografico: come si effettua?

L’esame si effettua poggiando due sonde sulla pancia della mamma, in zone corrette individuate dal medico; a questo punto, l’apparecchio registrerà il battito del bambino e tutte le sue variazioni nell’arco della durata dell’esame, che dura circa 30 minuti. Terminato l’esame, il ginecologo potrà richiedere ulteriori approfondimenti oppure rimandare la mamma al prossimo monitoraggio, solitamente uno a settimana fino all’arrivo del parto.

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