La famiglia di Giulia Tramontano esprime indignazione per le parole della difesa dell’imputato nel processo per il suo omicidio.
Diffonde una foto senza il velo islamico, 23enne punita con 74 frustate
Roya Heshmati, attivista iraniana che si oppone all’uso del velo islamico, è stata punita con 74 frustate per avere diffuso una foto senza l’hijab, scattata a Teheran. La vicenda è stata diffusa dall’ONG cura Hengaw che lotta per i diritti umani, con sede in Norvegia.
Come riportato da Articolo21.org, la 23enne “Roya Heshmati era stata condannata falla sezione 26 del Tribunale della Rivoluzione di Teheran a 13 anni e 9 mesi di carcere. Pena ridotta poi ad una multa e 74 colpi di frusta”.
E ancora: “Roya era stata arrestata il 21 aprile 2023 e rilasciata dopo 11 giorni di carcere. La giovane ragazza curda si è presentata il 2 gennaio scorso, accompagnato dal suo legale, Maziar Tataie negli ufficia giudiziario per l’esecuzione della condanna. Tutto ciò è avvenuto il 2 gennaio, che nella Repubblica Islamica è la giornata dedicata alla donna”.
Nel suo resoconto dell’incidente, Roya Heshmati ha svelato che un impiegato della divisione dell’esecuzione della sentenza aveva minacciato di aumentare la punizione corporea e di avviare un nuovo procedimento nei suoi confronti per aver rimosso il foulard. Ha equiparato il luogo dell’esecuzione a una “camera di tortura medievale”.
L’attivista ha narrato come un’agente donna le avesse imposto con la forza un foulard sulla testa e ha descritto di essere stata frustata su spalle, schiena, natiche e gambe. Roya Heshmati ha condiviso la sua esperienza dichiarando: “Non ho contato le frustate”.
E intonava un canto: “In nome della donna, in nome della vita, i vestiti della schiavitù sono strappati, la nostra notte oscura cederà il passo all’alba, e tutte le fruste saranno spezzate…”.
L’attivista era stata condannata anche a un anno di reclusione con la sospensione della pena e al divieto di lasciare il Paese per tre anni. Una beffa, secondo quanto racconta ancora Roya, è stata quando il giudice responsabile dell’esecuzione della sentenza le ha suggerito di “vivere all’estero per una vita diversa”, ricevendo in risposta l’assoluta riaffermazione del suo “impegno per la resistenza” contro il regime degli ayatollah e contro la negazione dei diritti umani, soprattutto delle donne, di cui l’obbligo dell’hijab è il simbolo.