Alberto Stasi parla dal carcere: “Non ho ucciso Chiara, ho la coscienza leggera”.

di Alice Marchese


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Per la prima volta Alberto Stasi parla in esclusiva e a distanza di sette anni dal suo arresto nello speciale de “Le Iene” dal titolo “Delitto di Garlasco: la verità di Alberto Stasi”. “Perché hai fretta di portare in carcere una persona sulla base di un risultato ancora parziale? Non c’era motivo ma il meccanismo si era messo in moto. Era stato emesso un provvedimento, i carabinieri erano arrivati, i giornalisti erano già fuori dalla caserma, mandare tutti a casa, in qualche modo, credo dispiacesse”.

Alberto Stasi a Le Iene

Nell’agosto del 2007 Chiara Poggi viene trovata morta nella villetta della sua famiglia in un paese in provincia di Pavia, Garlasco, dal fidanzato Alberto Stasi. Questo viene da subito iscritto nel registro degli indagati. Nel 2015, a otto anni dal delitto e dopo essere stato riconosciuto innocente per due volte. Tutto cambia al quinto processo (tra sentenze e appelli) viene condannato a sedici anni di carcere per averla assassinata brutalmente.

“Perché ho deciso di parlare oggi? Per dare un senso a questa esperienza, perché certe cose non dovrebbero più accadere. Se una persona vive delle esperienze come quella che ho vissuto io questa deve essere resa pubblica. A disposizione di tutti, e visto che ho la possibilità di parlare lo faccio. Così che le persone capiscano, possano riflettere. Ma anche decidere se il sistema che c’è va bene oppure se è opportuno cambiare qualche cosa”. Ancora oggi, infatti, e, come sempre, Alberto Stasi si dichiara innocente.

“Sembrava di remare contro un fiume in piena”

Nello speciale Alberto Stasi ripercorre il processo definito, da lui stesso, indiziario e senza prove. “Sembrava di remare contro un fiume in piena andando controcorrente, fin dall’inizio. Una volta lo scambio dei pedali, un’altra volta il test solo presuntivo, e l’alibi che mi viene cancellato. L’orario della morte che viene spostato. Non c’era desiderio di cercare la verità perché una volta può accadere, la seconda volta può passare. Ma non possono esserci una terza, una quarta, una quinta, per sette anni. Che verità c’è in tutto questo. Io sono stato assolto in primo grado, sono stato assolto in appello, sull’unica condanna il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha chiaramente detto questo e cioè. “Non si può condannare Alberto Stasi”, quindi, in Italia hanno un sistema che a oggi funziona così. La pubblica accusa dice “No, questa persona va assolta” ma, nonostante questo, la persona viene condannata”.

“Ho la coscienza leggera”

Tra le prime domande dell’inviato c’è quella del se sia stato lui a uccidere Chiara Poggi. “Quando mi chiedono se ho ucciso io Chiara penso che non sanno di cosa stanno parlando”, risponde Stasi, poi il discorso assume un altro tono: “Nell’immaginario comune un innocente in carcere è un qualcuno che soffre all’ennesima potenza. Per me non lo è, semplicemente perché la mia coscienza è leggera. Alla sera quando mi corico io non ho nulla da rimproverarmi. Certo, ti senti privato di una parte di vita perché togliere la libertà a una persona innocente è violenza, però non hai nulla da rimproverarti, l’hai subita e basta, non è colpa tua”.

“Certe cose non le puoi metabolizzare se non le vivi”

Cosa accadrà quando uscirà dal carcere?  “Oggi ho 38 anni e ho in mente di mettere a frutto tutte le esperienze negative che ho vissuto, un bagaglio conoscitivo che non può essere acquisito diversamente. Certe cose non le puoi metabolizzare se non le vivi. Se hai la fortuna, o sfortuna, a seconda del punto di vista, di vivere certe esperienze, acquisisci degli strumenti che puoi mettere a disposizione e io voglio fare questo. È un impegno diverso rispetto a quello che potevo desiderare quando avevo 24 anni, in cui volevo fare carriera nell’azienda più grande d’Italia, tanto per fare un esempio”.

“Il loro non è un mestiere banale”

Infine, “Cosa vorrei dire ai giudici che mi hanno condannato? Non saprei perché sono, in qualche modo, e in negativo, i protagonisti di questa vicenda. È difficile arrivare alla mente e al cuore di quelle persone. Il loro non è un mestiere banale, ha conseguenze sulla vita delle persone, come un medico in sala operatoria: ci sono lavori che non comportano queste responsabilità, altri invece sì. Se si decide di intraprendere un certo lavoro, una certa carriera, deve essere fatto in modo coscienzioso perché poi anche lì entrano dinamiche normali, di lavoro. La carriera, l’ambizione, il posto in un’altra sede, tutte cose che non dovrebbero avere nulla a che fare con la giustizia”.

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