Piero Marrazzo
A distanza di quindici anni dallo scandalo che sconvolse la sua carriera e la sua vita privata, Piero Marrazzo torna a parlarne.
Lo fa nello studio di “Verissimo”, ospite di Silvia Toffanin, senza filtri e con emozione autentica. Il giornalista ed ex presidente della Regione Lazio ripercorre il momento che segnò la sua caduta pubblica: la visita, il 3 luglio 2009, all’abitazione della sex worker transessuale Natalie, in via Gradoli a Roma.
Quella sera, quattro carabinieri in borghese fanno irruzione, lo sorprendono e girano un video a sua insaputa. Da quel momento, inizia il suo incubo. Ricattato, deriso e infine travolto dallo scandalo, Marrazzo si dimette a fine ottobre, pur non essendo indagato né colpevole di alcun reato.
Durante l’intervista, Marrazzo confessa il peso del silenzio e della vergogna, parlando di quella che definisce “una vita parallela”. Sposato e padre di tre figlie, non riusciva a condividere con la sua famiglia una parte di sé che lo tormentava.
“Avevo una vita parallela e quando un uomo sbaglia in questo modo e si comporta così è un vigliacco”, ammette. Non denuncia, si chiude in se stesso, e dopo lo scandalo si rifugia per un mese nel silenzio di un convento benedettino a Montecassino.
Il dolore si fa più acuto quando ricorda il bullismo subito dalle figlie e le lacrime della moglie, Roberta Serdoz, che nonostante tutto gli è rimasta accanto.
“Mia moglie è stata grande, mi è rimasta vicino come le mie figlie – racconta Piero Marrazzo – Perché è successo? Spesso sono meccanismi profondi, il perché in questo caso è il tradimento di un amore. Lei se lo sarà chiesto, anche io me lo sono chiesto e non smetti mai di chiedertelo se ami o hai amato una persona”.
Nel suo racconto, Marrazzo non cerca giustificazioni. Anzi, si dichiara colpevole per non aver avuto il coraggio di essere trasparente. Ma è anche pronto a riconoscere le vere vittime: “Le vere vittime di quello che è accaduto in quel maledetto giorno sono le donne transessuali, perché loro sono rimaste lì, mentre io sono qui a parlarne”.
Con questa riflessione, sottolinea quanto il pregiudizio continui a colpire chi appartiene alla comunità LGBTQIA+, soprattutto le persone transessuali.
Il libro Storia senza eroi racconta la sua vicenda, ma la vera rinascita – dice – è avvenuta grazie alle figlie. “Se non ci fossero state, questo muro non lo avrei mai tolto”, confessa. E ancora: “Le mie figlie dimostrano che possono prendere per mano un padre che è caduto e aspettare che si rialzi”.
Parole cariche di umanità, che mostrano un uomo cambiato, più consapevole, ma ancora segnato. Non cerca l’assoluzione, ma prova a trasformare il dolore in un’occasione per riflettere e far riflettere.
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