Da quale genitore prendete l’intelligenza, la scienza non ha dubbi: è solo uno dei due, l’altro conta poco
Madre e figlio
Diversi studi scientifici confermano che l’intelligenza dei bambini si eredita principalmente dalla madre.
Per anni si è creduto che l’intelligenza fosse trasmessa in modo equilibrato da entrambi i genitori. Oggi la scienza conferma che non è proprio così. Secondo ricerche sempre più numerose, il patrimonio genetico ereditato dalla madre gioca un ruolo centrale nello sviluppo delle capacità cognitive dei figli. Una convinzione popolare, spesso espressa con ironia nei detti popolari, trova dunque riscontro in laboratorio. La spiegazione non è semplice e coinvolge la genetica, ma il dato che emerge è chiaro: i geni materni hanno un’influenza più determinante sull’intelligenza rispetto a quelli paterni.
La chiave di questa scoperta risiede nei cosiddetti geni condizionati. Si tratta di geni che portano con sé una sorta di “etichetta biochimica”, capace di rivelarne l’origine e l’attività all’interno delle cellule dei figli. Alcuni di essi risultano attivi solo se trasmessi dalla madre, mentre se ereditati dal padre restano silenziati. Viceversa, altri geni funzionano in senso opposto. Ma quando si parla di abilità cognitive e capacità intellettive, il peso maggiore ricade proprio sui geni attivi di origine materna, il che spiega il legame così stretto tra madre e intelligenza del bambino.
Un ruolo fondamentale in questa trasmissione genetica è giocato dal cromosoma X. L’intelligenza, infatti, è localizzata principalmente su questo cromosoma. Poiché le donne possiedono due cromosomi X, mentre gli uomini ne hanno solo uno, le madri hanno una maggiore possibilità di trasmettere ai figli i geni legati allo sviluppo cognitivo. Questo significa che, statisticamente, l’eredità genetica materna influenza di più il potenziale intellettivo dei bambini. Una scoperta che ribalta vecchi stereotipi di genere e che evidenzia ancora una volta il valore del contributo femminile nello sviluppo della società.
Già decenni fa, lo studioso Robert Lehrke aveva ipotizzato il ruolo predominante del cromosoma X nella trasmissione dell’intelligenza. Le ricerche successive hanno confermato la sua intuizione. In particolare, uno studio condotto all’Università di Ulm ha analizzato i geni legati ai danni cerebrali, rilevando che molti di essi si trovano proprio sul cromosoma X e sono collegati a capacità cognitive specifiche. Inoltre, altre indagini hanno dimostrato che il miglior indicatore per prevedere il quoziente intellettivo di un bambino è il QI della madre, più attendibile rispetto a quello del padre.
Quanto conta davvero il patrimonio genetico materno
Nonostante il peso dei geni trasmessi dalla madre sia fondamentale, l’intelligenza non dipende solo dall’ereditarietà. Gli studi stimano che la genetica influisca per circa il 50-60% sul livello intellettivo complessivo. La percentuale non è uniforme perché varia in base alle ricerche e ai campioni analizzati. Il resto è legato a fattori ambientali, come l’educazione ricevuta, gli stimoli culturali, l’alimentazione e le esperienze personali. Questo significa che un bambino con un buon patrimonio genetico può non sviluppare appieno le proprie capacità se non cresce in un ambiente favorevole e stimolante.
Il dato genetico, quindi, è solo un punto di partenza. Perché le potenzialità si trasformino in abilità reali occorre un contesto educativo adeguato. L’intelligenza si nutre di relazioni affettive solide, di possibilità di apprendimento, di esperienze diversificate. Un bambino che riceve attenzione, stimoli culturali e supporto emotivo potrà esprimere al meglio il suo bagaglio genetico. Al contrario, la mancanza di stimoli può limitare anche chi eredita un patrimonio favorevole. La ricerca conferma che la famiglia e la scuola giocano un ruolo determinante nel trasformare l’intelligenza potenziale in intelligenza attiva.

Educazione e ambiente: la vera chiave per crescere bambini intelligenti
Se l’intelligenza ha dunque una base genetica materna, è l’educazione a renderla concreta. Crescere bambini intelligenti significa accompagnarli con stimoli continui, insegnando loro a ragionare, a porre domande e a cercare soluzioni. Il ruolo dei genitori è centrale, ma lo è anche la scuola, che dovrebbe fornire strumenti non solo nozionistici, ma anche emotivi e relazionali. Un ambiente ricco di libri, conversazioni e attività culturali favorisce lo sviluppo cognitivo. Non si tratta solo di talento ereditato, ma di coltivare con cura e pazienza un terreno fertile che consenta alle potenzialità di sbocciare.
Possiamo dunque concludere che l’intelligenza non è mai un dono immutabile, ma un processo in continua evoluzione. La madre trasmette un capitale genetico che segna l’inizio, ma la società e la famiglia hanno il compito di farlo crescere. In questo senso, educare significa creare. Come ricorda l’aforisma di Efim Tarlapan, mettere al mondo figli potenzialmente intelligenti è procreazione, ma educarli a diventare realmente intelligenti è vera creazione. Una riflessione che invita a superare i luoghi comuni sul talento innato e a investire nella formazione, perché il futuro si costruisce giorno per giorno.
