“Ricordare è giusto, ma doloroso”: la storia di Jole Mancini

di Alice Marchese


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Passano gli anni e le ferite si risanano con la potenza curativa del tempo. Ma ci sono eventi talmente devastanti che ancora oggi turbano e terrorizzano con la stessa intensità. Questa è la storia di Jole Mancini, 101 anni, partigiana torturata dalle SS.

Le parole di Jole Mancini

“Ricordare è giusto, ma sapesse anche quanto è doloroso. Ho degli incubi tremendi. Mi sveglio e mi chiedo: ‘Davvero è successo?”. Così Jole Mancini racconta a Repubblica.

«Sposa da appena un mese del partigiano Ernesto Borghesi, evaso da Regina Coeli, fu imprigionata e torturata dalle SS in via Tasso. Ma non rivelò mai dove si trovasse il marito». Le parole del presidente De Sanctis fa alla Casa della memoria e della storia. Lì un anno fa l’Anpi di Roma ha organizzato una festa per trascorrere con lei l’importante ricorrenza.

“Dov’è suo marito?”

Nonostante siano passati anni, non dimentica. Ricorda vividamente il nazista che le punta il faro negli occhi e le chiede ossessivamente di suo marito.
Jole si trovava in via Tasso. “In cantina, al buio. Il nazista era in piedi davanti alla scrivania e accanto a lui c’era l’interprete. Ripeteva: ‘Dov’è suo marito?’. ‘È a Regina Coeli’, rispondevo. E allora lui ricominciava daccapo, ogni tanto mi strattonava. Così per ore. A volte svenivo, per la stanchezza e perché dalle stanze accanto si levavano le grida dei torturati”.

Continuò a sostenere che Ernesto era in carcere, prova ne era che ogni giorno consegnava per lui ai secondini la biancheria pulita. Sopravvissuta nel giorno della Liberazione di Roma. Fu fatta salire su uno dei due camion che lasciarono il comando SS quella mattina, ma l’automezzo su cui lei si trovava si guastò. L’altro invece, con dodici prigionieri proseguì fino a La Storta, dove si compì il loro eccidio.

Chi era Ernesto Borghesi

Il marito, Ernesto Borghesi, studente in medicina, partigiano nei Gap, era scappato da Regina Coeli, dov’era finito perché coinvolto nell’attentato al figlio di Mussolini, Vittorio, il 7 aprile 1944. Per questo lei fu reclusa in via Tasso per dieci giorni. “E sapevo che da lì non si usciva vivi”. Era reclusa in una stanza al terzo piano, insieme ad altre tredici partigiane. “La finestra era murata. Un po’ di aria entrava da una piccola grata ricavata dalla porta che dava sul corridoio. Fuori dalla porta sostava notte e giorno un soldato”.

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