Ricordando Alda Merini: “Sono nata il ventuno a primavera”

di Alice Marchese


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“Sono nata il ventuno a primavera”: nonostante il periodo altamente precario, la natura fa il suo corso e dunque è sbocciata la primavera. Ed esattamente il 21 marzo 1931 è venuta al mondo la celebre Alda Merini, poetessa italiana che si è affermata nella storia della letteratura, incantando chiunque si imbattesse per la prima volta in un suo componimento poetico.
Autrice dal talento straordinario, affronta una vita che la mette costantemente a dura prova: sebbene la sua diagnosi psichiatrica la accompagni e non la abbandona e sebbene il padre stronchi le sue aspettative con un forte “Ascoltami, cara, la poesia non dà il pane”, la sua anima poetante le conferisce il dono di descrivere il mondo con occhi inquieti, colmi di sofferenza, ma al contempo strabordanti di stupore e meraviglia.

A soli cinque anni le viene regalato dal padre un vocabolario, così da immergersi  nelle parole e nella conoscenza della lingua. La madre è distante e austera. Le aveva attribuito rigidamente un futuro da moglie e madre, impedendole invano di leggere libri della biblioteca paterna.
La sua giovinezza la trascorre con infinita difficoltà, ma attraverso una sua insegnante delle medie che ne riconosce le doti letterarie, riesce ad entrare in contatto con Giacinto Spagnoletti, il quale divenne la sua guida.
Ha sempre trovato il coraggio di scrivere anche quando tutto sembrava perduto. Sentiva la poesia, anche quando sembrava scomoda per gli altri. Inoltre di fondamentale importanza era la sua profonda spiritualità e fede, che figura tra le sue strofe.

Nel 1979 riprende a scrivere, dando il via ai suoi testi più intensi sulla drammatica e sconvolgente esperienza dell’ospedale psichiatrico. Da lì nascerà il suo capolavoro La Terra Santa” con la quale vincerà nel 1993 il Premio Librex Montale. Ma le pene della scrittrice continuano: il 7 luglio 1983 muore il marito; rimasta sola e ignorata dal mondo letterario, cerca inutilmente di diffondere i propri versi.

Nell’ultima intervista rilasciata da Alda Merini al regista Massimo Allegri, ella racconta il suo rapporto con “il dolore è come la morte non puoi evitarlo. Tanto vale andargli incontro come il lupo e digli “Ciao sono tuo amico”. Perché se il lupo lei lo teme allora lo azzanna”. Secondo lei, noi alimentiamo il nostro lupo interno e gli consentiamo di annullarci.

Per lei un poeta è un illuminato, un predetto di Dio che rischia la pelle proprio per la sua libertà.
Alla domanda posta anni fa all’autrice milanese “Chi è un poeta e che ruolo ha nel XXI secolo?”, ella rispose: “Il poeta è contento di scrivere in pace. Scrive per se stesso soprattutto. Si riempie di spiritualità. Il poeta è un buontempone, però abbiamo una società che va allo sfascio perché buontemponi non ne abbiamo più”.

Ci lascia il 1º novembre 2009 Alda Merini, con le sue apparentemente semplici, ma meravigliose opere che incantano e ci cullano; è la storia di una donna e della sua devozione ai versi che le hanno illuminato il cammino, irradiandola e facendola splendere sempre e comunque.
“Ho la sensazione di durare troppo, di non riuscire a spegnermi: come tutti i vecchi le mie radici stentano a mollare la terra. Ma del resto dico spesso a tutti che quella croce senza giustizia che è stato il mio manicomio non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita”.

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