“Ma Signor Giudice, 10 anni di galera per un WhatsApp?”: occhio a questo scivolone fatale: anche uno screenshot può rovinarti a vita
Whatsapp_Donnaclick_(Depositphotos.com)
Accedere senza permesso a WhatsApp può costituire reato, lo conferma una recente sentenza della Cassazione.
Chi pensa che curiosare tra le chat del partner sia solo una questione sentimentale dovrebbe ricredersi. In certi casi, il confine tra gelosia e reato può essere sottile, ma nettamente definito dalla legge. E i giudici italiani lo stanno tracciando con sempre maggiore precisione.
Viviamo costantemente connessi. Messaggi, chiamate e videochiamate scorrono ogni giorno sui nostri dispositivi, diventando un’estensione della nostra sfera privata. Per questo, anche un gesto apparentemente banale, come leggere di nascosto una conversazione, può avere gravi conseguenze legali.
Nel diritto penale, la protezione della privacy digitale non è più solo un principio astratto. L’invasione non autorizzata di sistemi informatici è oggi considerata alla stregua di una violazione domestica: un’intrusione, anche se silenziosa, che può trasformarsi in un reato penale.
Tanto più se l’accesso al dispositivo avviene superando barriere di sicurezza come password o sistemi di riconoscimento biometrico. In questi casi, la legge parla chiaro: non importa se il dispositivo appartiene a un coniuge, un familiare o un conoscente. Senza autorizzazione esplicita, è violazione.
La legge tutela la privacy anche nei rapporti personali
Il concetto chiave è uno: autorizzazione. E non basta un semplice “puoi usare il mio telefono”. L’uso deve essere limitato nel tempo e nello scopo. Superare quei limiti, o accedere a contenuti mai autorizzati, costituisce una responsabilità giuridica ben precisa.
Perfino la condivisione volontaria della password non cancella i limiti imposti dalla legge. Anzi, paradossalmente, potrebbe aggravare la posizione di chi abusa di quel consenso. Perché ogni uso ulteriore, ogni lettura fuori contesto, viene considerata come un nuovo accesso illecito.

WhatsApp è a tutti gli effetti un sistema informatico
Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha stabilito che WhatsApp è da considerarsi a tutti gli effetti un “sistema informatico”. In quanto tale, è protetto dal reato di accesso abusivo. I giudici hanno condannato un uomo per aver violato la riservatezza della moglie accedendo senza permesso alla sua app. E la sentenza dello scorso 5 giugno conferma: nei casi più gravi, si rischia anche il carcere fino a 10 anni.
Secondo i magistrati, il sistema era protetto da password, e questo rende l’accesso ancora più colpevolizzante. Anche se il marito aveva avuto, in passato, l’autorizzazione ad accedere al telefono, ciò non lo autorizzava a esplorare liberamente ogni contenuto. La protezione era attiva, l’autorizzazione era assente: il reato sussiste.
