Il 2025 è iniziato con due episodi tragici: la morte di Sara Campanella e Ilaria Sula, due giovani donne uccise per mano di uomini che avevano fatto parte della loro vita. Come riportato da Geopop le loro storie hanno riportato al centro dell’opinione pubblica il tema dei femminicidi, fenomeno che rimane drammaticamente attuale.
Secondo i dati del Ministero dell’Interno, tra il 2020 e il 2023 i femminicidi in Italia sono aumentati, per poi calare del 6% nel 2024. Tuttavia, il primo trimestre del 2025 mostra segnali di ulteriore miglioramento. Ma i numeri da soli non bastano: ogni donna uccisa è una vita spezzata e un fallimento collettivo.
Il termine “femminicidio” non indica semplicemente l’omicidio di una donna, ma l’eliminazione sistematica della sua identità e libertà in quanto donna. Spesso perpetrato da ex partner, mariti o familiari, è il tragico epilogo di una catena di violenze fisiche, psicologiche ed economiche.
Alla radice c’è un meccanismo di deumanizzazione: l’assassino smette di vedere la donna come persona e inizia a percepirla come oggetto o proprietà.
Questo fenomeno è alimentato da retaggi patriarcali duri a morire, che riducono la donna a ruolo subordinato e la privano di autonomia e autodeterminazione.
Nel 2024 sono state 113 le donne uccise, di cui 61 da partner o ex partner. I femminicidi in ambito familiare e affettivo rappresentano circa il 65% delle vittime di omicidi domestici, con un lieve aumento del 3% rispetto all’anno precedente.
Le vittime hanno tra i 30 e i 50 anni, fascia d’età che coincide con quella degli aggressori.
Dal 2025, il Ministero dell’Interno ha annunciato che pubblicherà report trimestrali sui femminicidi. Il primo, relativo al periodo gennaio-marzo, mostra un calo rispetto all’anno precedente, ma è presto per parlare di inversione di tendenza.
Il fenomeno non riguarda solo l’Italia. Il report delle Nazioni Unite (2024) stima che nel 2023 almeno 51.100 donne e ragazze siano state uccise da partner o familiari. In Europa le vittime sono state circa 2.300.
In Italia, il caso di Giulia Cecchettin ha dato slancio a nuove misure: il braccialetto elettronico, l’arresto in flagranza differita e un disegno di legge per riconoscere il femminicidio come reato autonomo, punibile con l’ergastolo.
Tuttavia, le leggi non bastano se non sono supportate da educazione affettiva, campagne di sensibilizzazione e un linguaggio mediatico consapevole.
Gli strumenti giuridici hanno spesso fallito nel prevenire i crimini, anche in presenza di precedenti denunce. Solo un cambio culturale profondo può ridurre la violenza strutturale contro le donne.
I numeri ci raccontano una realtà complessa: in Italia e in Europa, i femminicidi continuano a rappresentare una delle espressioni più brutali della disparità di genere, un fenomeno preoccupante che va affrontato da più angolazioni: giuridica, sociale, educativa e culturale.
La lotta contro i femminicidi non può essere demandata solo a leggi più severe o a interventi d’emergenza. Serve una presa di coscienza collettiva, un cambiamento culturale che coinvolga istituzioni, famiglie, scuole, media e cittadini.
Riconoscere i segnali della violenza, educare al rispetto e alla parità, sostenere concretamente le vittime: sono tutti passaggi imprescindibili per disinnescare una spirale di odio che continua a mietere vittime innocenti.
Solo agendo con coraggio, coerenza e continuità possiamo trasformare le statistiche in memoria e le tragedie in cambiamento. Perché ogni numero è una persona, e ogni vita spezzata ci chiama alla responsabilità.
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