La Corte di Cassazione ha messo un punto fermo in una battaglia legale che dura da anni: con la sentenza dell’8 aprile, le Sezioni Unite Civili hanno confermato il ritorno della dicitura “genitori” sulla carta d’identità dei minori, al posto dei termini “padre” e “madre”.
La decisione, contenuta in un dispositivo di 11 pagine, ha respinto il ricorso presentato dal Ministero dell’Interno contro la sentenza della Corte d’Appello di Roma, che già lo scorso anno aveva accolto le richieste di due donne, madri di un minore, e del Comune di Roma.
Tutto ha inizio con il caso di un minore, figlio di due donne – una madre naturale e una adottiva, grazie alla stepchild adoption – che necessitava di una carta d’identità elettronica valida per l’espatrio. Il problema sorge con il modello di documento predisposto dal Ministero dell’Interno, basato sul decreto del 31 maggio 2019, noto come decreto Salvini. Questo decreto aveva sostituito la dicitura “genitori” con “padre” e “madre”, una scelta che, secondo i giudici, non rappresentava adeguatamente tutte le conformazioni familiari esistenti.
Nel caso specifico, il modello Cie consentiva di indicare in maniera appropriata solo una delle due madri, mentre “imponeva all’altra di veder classificata la propria relazione di parentela secondo una modalità (‘padre’) non consona al suo genere”. Il Tribunale di Roma aveva già disposto di indicare solo “genitore” sulla carta d’identità del minore, sottolineando che il documento doveva riflettere lo stato civile del piccolo e garantire il suo diritto a un’identità rappresentativa, anche per i viaggi all’estero. La Corte d’Appello di Roma aveva confermato questa decisione, e ora la Cassazione ha ribadito lo stesso principio.
La sentenza della Corte di Cassazione è chiara: il figlio o la figlia di due donne “ha diritto di ottenere una carta d’identità rappresentativa della sua peculiare situazione familiare”. I magistrati hanno definito il modello del Viminale “irragionevole e discriminatorio”, poiché non tiene conto di tutte “le legittime conformazioni dei nuclei familiari e dei correlati rapporti di filiazione”. La dicitura “padre” e “madre” non solo esclude le famiglie composte da genitori dello stesso sesso, ma obbliga uno dei due a essere identificato con un termine che non corrisponde al proprio genere, violando i principi di equità e rappresentatività.
La Cassazione ha quindi sancito che la dicitura “genitori” è l’unica in grado di garantire una rappresentazione corretta e inclusiva, rispettando il diritto dei minori a un documento che rispecchi la loro realtà familiare. Questo verdetto non solo boccia il ricorso del Ministero dell’Interno, ma invalida di fatto il decreto del 2019, aprendo la strada a una revisione delle normative sui documenti d’identità.
La sentenza ha suscitato reazioni immediate da parte delle associazioni e dei rappresentanti politici che da anni si battono per i diritti delle famiglie arcobaleno. Marilena Grassadonia, responsabile Libertà e diritti di Sinistra Italiana, ha espresso grande soddisfazione: “Il modello predisposto nel 2019 dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, che sostituì la storica e più ampia dicitura ‘genitori’, fu frutto di una scelta del tutto ideologica che intendeva cancellare la realtà di tante famiglie italiane composte da due genitori dello stesso sesso”.
Grassadonia ha poi aggiunto: “Oggi la Cassazione restituisce dignità a quelle famiglie e soprattutto garantisce il diritto a bambini e bambine, con due mamme o due papà, ad avere un documento di identità che riporta la loro corretta composizione familiare. Un duro colpo per chi da destra, partiti e associazioni, continua a fare propaganda sulla pelle di bambini e bambine in carne e ossa nel tentativo di imporre un pensiero ideologico che, oltre a minare la loro serenità, è totalmente scollegato dalla realtà. Le famiglie arcobaleno esistono, se ne facciano una ragione e nessuna di noi è disposta a fare un passo indietro. Il riconoscimento di pieni diritti è l’unica strada possibile, continueremo insieme a lavorare per questo”.
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