Le mutilazioni genitali sono praticate in almeno 27 paesi africani, nonché in alcune zone dell’Asia e del Medio Oriente. Oltre al Sudan e all’Egitto, è stata confermata anche in Etiopia, Kenya, Burkina Faso, Nigeria, Gibuti e Senegal.
La maggior parte delle donne sudanesi subisce quella che l’Organizzazione Mondiale della Sanità chiama circoncisione di tipo III, una forma estrema in cui vengono rimosse le labbra interne ed esterne, e di solito il clitoride.
La credenza tradizionale in Sudan è che tagliare i genitali esterni di una ragazza garantisca l’onore della famiglia e le prospettive nel matrimonio. Tuttavia, la mutilazione può causare infezioni e, nei casi peggiori, infertilità o complicazioni durante il parto e perfino la morte. Inoltre riduce notevolmente il piacere sessuale. L’uso della pratica in Sudan era stata una delle ragioni per cui i ricercatori della Thomas Reuters Foundation avevano classificato il paese come uno dei peggiori paesi per i diritti delle donne.
Grazie alla modifica di emendamento del cosiddetto Criminal Act, approvata la scorsa settimana dal governo di transizione del paese, chi effettua mutilazioni genitali femminili rischia una pena pari a tre anni di carcere e una multa. Il governo di transizione del Sudan ha annunciato la messa al bando, attraverso un nuovo articolo del codice penale, delle mutilazioni dei genitali femminili. Un passo avanti importante da parte delle nuove autorità sudanesi al potere dal 2019 dopo la caduta del dittatore Omar al-Bashir.
Adesso si spera che questa legge venga acquisita e resa operativa da tutti gli altri paesi in cui questo crimine viene ancora praticato.
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