A Kabul le donne devono indossare il burqa?

di Alice Marchese


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Da quando i talebani hanno preso Kabul, qualsiasi passo che sia stato fatto verso l’emancipazione femminile è stato cancellato nell’arco di poco più di un mese. “Con l’arrivo dei talebani, per il popolo di Kabul non è ancora cambiato nulla”. E’ una frase ricorrente e a pronunciarla è Malea.

E’ madre di nove figli e racconta come prima indossare il burqa fosse una costrizione. Adesso regna la paura che si retroceda. Una delle domande più frequenti è che differenza ci sia tra i veli islamici, se le donne scelgano liberamente di indossarlo oppure no. Proviamo a far chiarezza.

Kabul, le donne devono indossare il velo?

Malea ha 65 anni ed è madre di nove figli, quattro dei quali tossicodipendenti. Racconta a Repubblica quanto sta vivendo in questo periodo di profondo terrore.

“Vent’anni fa mi obbligarono a indossare il burqa. Stavolta no. O almeno non ancora. Spero soltanto che adesso che hanno finalmente conquistato il potere, non ci saranno più i terribili attentati che hanno per decenni funestato il Paese. Oggi, sono loro i padroni. Averne paura non serve a nulla. Se decidono di ammazzarci tutti, nessuno potrà impedirglielo”.

Kabul e la lunga tragedia afghana

Tutto ha avuto inizio con l’invasione sovietica nel 1979. Anche se si sopravviveva, si moriva quotidianamente. “Nel 2018, l’ultima volta che venni a Kabul, nella stessa settimana un attacco islamista provocò quaranta morti all’Hotel Intercontinental e una bomba novantacinque nel cuore della città. Agli occidentali era vietato perfino uscire di casa a piedi. Ma se prima c’era una sorta di coprifuoco notturno nel timore d’imbattersi la notte in una banda d’insorti, oggi c’è comunque la paura d’incrociare un pick-up carico di talebani-poliziotti”. Afferma Malea.

“Dai talebani non avremo nulla, perché sono troppo poveri per offrire qualcosa agli afghani. Sono venuti pochi giorni fa a chiedere cibo e uomini per la guerra nel Panshir. Ovviamente se ne sono andati senza né l’uno né gli altri, perché di cibo ne abbiamo appena per sfamarci noi stessi e perché gli uomini di Kabul hanno già combattuto troppe guerre”.

L’allarme delle Nazioni Unite sulla questione afghana

La settimana scorsa, le Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme su un’imminente crisi alimentare in Afghanistan. Il Paese dipende soprattutto dagli aiuti internazionali, le scorte di cibo sono destinate a terminare entro la fine del mese se la comunità non si mobiliterà al più presto per stanziare nuovi fondi e inviare aiuti.

“Quello che più mi preoccupa dei talebani è che non sono gente di città. L’avevano già dimostrato tra il 1996 e il 2001, quando non riparavano le strade, non restauravano le case che cadevano in rovina, non costruivano nulla ma semmai distruggevano con l’esplosivo tutto ciò che dava loro fastidio”, spiega.

La differenza tra burqa, niqab, chaor e hijab

Il velo islamico è un simbolo altamente discusso. Chi pensa che sia una costrizione e lo addita come un errore madornale nella storia dell’emancipazione femminile, chi invece ritiene che sia emblema di spiritualità dettato da una scelta libera e personalissima. Ma che differenza c’è quindi tra burqa, niqab, chador e hijab?

Cos’è l’hijab

L’hijab è il velo più diffuso. Ma è anche quello che in occidente è conosciuto di più, infatti viene identificato come “velo” nel suo senso più generico. Significa protezione, copertura. Si tratta di un drappo che copre il capo, il collo, le orecchie e lascia scoperto il volto e le spalle. Possono essere abbinati colori, tessuti e fantasie differenti.

Nonostante sia scelta libera e personale, a volte nel mondo occidentale viene percepita come simbolo di oppressione. Questo genera il classico fenomeno di islamofobia. Per le donne, oltre ad essere profondamente legato alla loro fede e cultura, è motivo di orgoglio e simbolo di femminilità.

Al-Amira: cos’è

Anche noto come hijab Al-Amira, è un velo velo a due pezzi. Consiste in un copricapo aderente, solitamente realizzato in cotone o poliestere che viene indossato con una sciarpa tubolare che si avvolge attorno al collo e sulla testa.

Chador: cos’è

Il chador viene indossato specialmente Iran dalle donne quando sono fuori casa. Si tratta di un velo molto più lungo dell’hijab che consiste in un semicerchio di tessuto che passa sopra alla testa collo, spalle e tutto il corpo. Di solito non presenta cuciture e viene chiuso sotto il mento o tenuto con una mano, come un mantello. Il chador non copre il volto e viene solitamente tolto quando le donne rientrano in casa.

Khimar: cos’è

Il khimar è un lungo velo simile a un mantello che scende appena sopra la vita, ma può arrivare alle spalle o fino alle caviglie. Copre completamente i capelli, il collo e le spalle, ma lascia il viso scoperto.

Niqad: velo diffuso in Arabia Saudita

Il niqab è un velo molto diffuso in Arabia Saudita, che lascia scoperti solo gli occhi, coprendo il capo e il resto del viso. Solitamente è composto da una stoffa leggera e traspirante che copre naso e bocca, e viene legata al di sopra delle orecchie, mentre un altro velo più grande avvolge il capo e buona parte del busto. Il fatto che restino scoperti gli occhi lo differenzia dal burqa e spesso viene usato insieme all’Abaya, una lunga veste nera di tessuto leggero.

Shayla, cos’è?

Shayla è una sciarpa rettangolare che copre collo e spalle. È diverso da un khimar perché solitamente è avvolto e appuntato con una spilla e piò essere indossato anche sotto forma di mezzo niqab con una parte del viso ancora visibile.

Cos’è il burqa

Il burqa copre completamente il corpo della donna che lo indossa e presenta una specie di retina all’altezza degli occhi poterle permettere di vedere. Questo velo è spesso di colore azzurro, ma anche nero e in alcune zone anche verde o marrone. In Afghanistan viene chiamato anche chadari e i talebani lo imposero come obbligo per tutte le donne durante il loro governo nel Paese.

E’ il velo più discusso. In questo caso la donna risulta interamente coperta e secondo alcuni sarebbe quindi un’interpretazione particolarmente restrittiva nata sulla base di convenzioni culturali.

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