Parliamo di autolesionismo: cosa bisogna sapere?

di Carmela Giglio


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Autolesionismo psicologico

L’autolesionismo psicologico dipende, appunto, da cause attinenti la sfera emotiva del soggetto. E’ un disturbo che colpisce il 6% della popolazione adulta e oltre il 15% degli adolescenti e dei giovani adulti. Si può associare a disturbi d’ansia, depressione, disturbi del comportamento alimentare o disturbi di personalità come quella borderline. Riconosciuta ormai come patologia psichica dalla letteratura scientifica, si sostanzia in una serie variegata di gesti di auto-mortificazione. Chi ne soffre, ad esempio, può procurarsi dei tagli sulle braccia oppure sbattere più volte la testa contro il muro.

Ma perchè ci si comporta in questo modo? Si tratta di una reazione con cui si cerca di stemperare uno stato emotivo particolarmente forte. In altre parole, la messa in atto di comportamenti autolesivi, consente di tramutare in sofferenza fisica una sofferenza emotiva che non si sa come gestire. In questo modo, il soggetto dovrà occuparsi del dolore fisico, che avrà la meglio su quello emotivo, considerato ingestibile e paralizzante.

Autolesionismo, le cause

Le cause dell’autolesionismo, quindi, vanno rintracciate esclusivamente sul piano psicologico. Oltre al già citato effetto di tramutare la sofferenza psichica in dolore fisico, questo atteggiamento può essere legato ad altri fattori. Una seconda funzione dell’autolesionismo, infatti, è la punizione auto-inflitta: ci si punisce per qualcosa attraverso una mortificazione fisica.

Infine, l’autolesionismo può costituire la forma di comunicazione di un disagio interiore. Rendendo agli altri visibili le lesioni si comunica il proprio disagio interno. Questo è il motivo per cui l’autolesionismo è comune durante l’adolescenza, un periodo particolarmente critico, ma è frequente anche negli adulti e le cause che lo determinano sono le medesime.

Autolesionismo e suicidio

A questo punto ci si potrebbe chiedere se esiste una correlazione tra autolesionismo e suicidio. Ebbene, pare proprio di sì. Si è osservato che questi gesti di auto-mortificazione sono legati spesso alla successiva decisione di programmare la propria morte. Gli atti autolesionisti possono essere, dunque, preliminari alla scelta di un esito ancora più infausto. Anche per questo, una volta rilevati i gesti autolesionisti è necessario agire tempestivamente per evitare ulteriori conseguenze. Ma come aiutare un autolesionista?

Come aiutare un autolesionista

Il trattamento più diffuso ed efficace per intervenire sulle condotte autolesive è la Dialectical Behavioral Therapy (DBT), ideata da Marsha Linehan nel 1993. Questo tipo di terapia prevede un approccio individuale, la partecipazione ad un gruppo di skill training e la gestione del caso in equipe e coaching telefonico per gestire tempestivamente le crisi. Si cerca, dunque, di agire su più fronti per individuare le cause del problema e prevenire gli atti autolesionisti. Infine esistono molti libri sull’autolesionismo, che possono aiutare il soggetto a prendere maggiore consapevolezza della propria patologia.

A chiusura, si può ricordare una delle più celebri frasi sull’autolesionismo, o meglio, che possiamo adattare a questi casi: “A volte l’uomo è straordinariamente, appassionatamente innamorato della sofferenza”, di Fëdor Michajlovič Dostoevski. Questo a spiegare che dietro questo tipo di gesti ci può essere anche un desiderio di masochismo, che deve essere trattato nelle sedi opportune. Il consiglio, dunque, è quello di rivolgersi sempre ad uno psicoterapeuta.

Libri sull’autolesionismo

Il libro di Marilee Strong intitolato Un urlo rosso sangue è dedicato all’argomento. Anche ne La solitudine dei numeri primi il protagonista è un autolesionista. Ancora, Diario di un’autolesionista di Carla Torchia e L’autolesionismo di Mario Rossi Monti si possono acquistare come supporto e conforto.

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