Sindrome di Medea, di cosa si tratta?

di cinziaR


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Nella mitologia greca, Medea si promise a Giasone per il cui amore rubò il vello e dal quale ebbe due figli prima di essere da lui sposata. Quando, però, Giasone la tradì sposando un’altra, Medea perse il senno e tramò vendetta, arrivando a uccidere la sua rivale e i figli avuti con Giasone.

In psicologia ci sono varie interpretazioni della sindrome di Medea anche se, oramai, si concorda nel considerare tale sindrome come quella della madre che uccide la propria prole. A ben guardare, la sindrome di Medea riguarda la madre che uccide i figli perchè è stata tradita dal compagno oppure che spinge i suoi figli ad odiare il loro padre quando questo la lasci, la tradisca o la abbandoni.

Ad ogni modo, sindrome di Medea è la definizione usata per riferirsi alle madri che uccidono, fisicamente o metaforicamente, i loro figli per amore del compagno. Non solo. Si parla di questa sindrome anche per riferirsi a casi di mamme omicide, senza una causa manifesta scatenante come invece può essere la grave malattia del figlio stesso o di un componente della famiglia.

In questi casi, la psichiatria si riferisce soprattutto ad un legame con la depressione post partum, quando questa non sia stata curata o sia stata sottovalutata. Qui abbiamo parlato con lo psichiatra di come curare la depressione post partum.

Secondo altre interpretazioni psicodinamiche, come quella della psicologa Jean Bolen ad esempio, la sindrome di Medea è una forma di disagio leggermente diverso dalla depressione che, invece, generalmente spinge ad atti autolesionisti e non all’omicidio.
La sindrome di Medea, infatti, è rivolta verso la prole e non verso se stesse, in quanto madri e donne che soffrono. A volte c’è anche l’amnesia dell’omicidio e la totale negazione di ciò che è stato fatto per propria mano.

Detto ciò, è tuttavia necessario sottolineare che non esistono casi identici in psichiatria o in criminologia di disagi umani. Ogni volta che un evento drammatico e tragico come l’uccisione di un figlio si attua nella società, infatti, molte e varie sono le domande che ci si deve porre sia a livello medico sia a livello morale, sebbene ci sia consentito usare una etichetta didattica e scientifica come, appunto, in questo caso, sindrome di Medea.

E’ importante comprendere che nessuna madre, se non ha un forte disagio personale, può uccidere i suoi figli e che, sebbene i fatti di cronaca spesso ci facciano credere il contrario, non esistono mostri creati, per così dire, “a tavolino”.
Quando una donna, o una famiglia giunge a manifestare un dolore così grande, a tal punto da arrivare a commettere l’omicidio più efferato in natura, di solito si tratta di una donna, di una madre, di una moglie o compagna che non è stata capita in tempo. E qui per “in tempo” ci si potrebbe riferire a qualsiasi tempo storico di una persona: dall’infanzia, all’adolescenza, al post partum o qualsiasi altro momento di profondo dolore.

E’ bene anche ricordare che ci sono donne che non vogliono diventare madri ma che solo nei casi più “fortunati” riescono a capirlo e ad accettarlo. Stereotipi di genere e altre debolezze sociali inculcano in ogni donna la necessità di dover mettere al mondo dei figli, talvolta non curandosi della felicità di quella donna stessa. Da questo punto di vista, la Sindrome di Medea è più un fenomeno sociale che non uno personale e psichiatrico, individuale.

Ecco, a tal proposito che cosa Euripide fa dire a Medea nella sua tragedia: “Di tutte le creature che hanno anima e cervello, noi donne siamo le più infelici; per prima cosa dobbiamo, a peso d’oro, comprarci un marito, che diventa padrone del nostro corpo – e questo è il male peggiore… Quando si stanca di stare a casa, l’uomo può andarsene fuori e vincere la noia… noi donne invece dobbiamo restare sempre con la stessa persona“.

Certo, questo non giustifica in nessun modo l’infanticidio ma, forse, ci permette di fare una riflessione più approfondita che non tutte le donne, le persone o gli uomini sono pronti a diventare genitori sempre e comunque come la logica sociale vorrebbe.

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