Trombofilia in gravidanza, tutto quello che c’è da sapere

di Claudia Scorza


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Durante i mesi di gravidanza il sangue tende a coagularsi di più per ridurre la possibilità di emorragia durante il parto. Questo si accentua di più nell’ultimo trimestre e nelle prime settimane dopo il parto, aumentando però il rischio che si formino dei coaguli di sangue, i trombi, nei mesi di gestazione.

Questo però viene aggravato dalla presenza di altri fattori, come anomalie ereditarie o acquisite che portano ad una certa predisposizione trombofilica. La trombofilia non è altro che la predisposizione al verificarsi di trombosi, cioè la formazione di coaguli nelle vene o nelle arterie, provocata da un’eccessiva tendenza alla coagulazione da parte del sangue.

Le trombosi di tipo arterioso provocano conseguenze molto gravi, come ictus o infarto, mentre le trombosi venose colpiscono soprattutto le gambe. I sintomi principali delle trombosi venose sono gonfiore della gamba, dolore e senso di tensione all’arto. Questi sintomi non sono assolutamente da sottovalutare poiché, anche se in rari casi, può capitare che questo disturbo provochi un’embolia polmonare, potenzialmente fatale.

Se si tratta di trombofilie ereditarie, cioè legate ad un fattore genetico, troviamo quelle dovute a mutazioni nel fattore V di Leiden e nel fattore II, che sono le più diffuse. Sono, invece, più rare le mutazioni legate a antitrombina, proteina S e proteina C. In merito alle mutazioni del gene MTHFR, bisogna considerarle ereditarie solo se derivate sia dalla mamma sia dal papà e solo se associate a un effettivo aumento dei livelli dell’omocisteina nel sangue.

Ci sono anche altri fattori che possono aumentare il rischio di trombi in gravidanza, come l’età avanzata, l’obesità o l’aumento eccessivo di peso durante la gravidanza, una vita troppo sedentaria e il fumo.

Esistono una serie di esami per vedere se si è a rischio di trombofilia, valutando se i fattori della coagulazione sono nella norma o se c’è qualche anomalia. Stiamo parlando dello screening trombofilico, che si esegue attraverso un esame del sangue che include, tra i fattori, antitrombina, omocisteina, protrombina, proteina C, proteina S, resistenza alla proteina C attivata e/o fattore V Leiden, anticorpi antifosfolipidi e mutazione G20210A.

Questo screening non è per tutte le donne in gravidanza, ma solo per coloro che abbiano già avuto trombosi venosa o donne con una storia familiare di trombofilia ereditaria, donne con aborti ricorrenti o che abbiano avuto in una precedente gravidanza morte fetale in utero, o ancora, donne che hanno riscontrato un ritardo della crescita fetale o distacco di placenta in una precedente gravidanza.

Sarebbe opportuno eseguire gli esami per la trombofilia quando si pianifica una gravidanza e non durante i mesi di gestazione poiché le variazioni della coagulazione che questo disturbo provoca potrebbe falsarne i risultati. Per stare più tranquilli, sarebbe meglio effettuare una visita dal ginecologo e programmare gli esami del primo trimestre, valutando insieme al medico la storia personale e familiare per avere le giuste indicazioni per la gestione di una gravidanza sicura e serena.

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