Violenza sessuale
Un tragico caso di sfruttamento minorile ha portato a una sentenza del Tribunale di Torino, in cui una madre è stata condannata a 4 anni e 10 mesi di carcere per aver “venduto” online la propria figlia adolescente. Questo verdetto è il risultato di un caso risalente a marzo 2020, che ha scosso l’opinione pubblica italiana.
L’indagine su questo caso è iniziata quando l’associazione antipedofilia “La Caramella Buona” ha segnalato alle autorità giudiziarie l’attività sospetta della madre nei confronti della figlia adolescente. All’epoca dei fatti, la ragazza aveva solo 15 anni ed era vittima di un’atroce situazione.
La madre è stata accusata di sfruttamento della prostituzione e produzione di materiale pedopornografico, reati gravi che hanno portato alla richiesta del pubblico ministero di una condanna a 4 anni di reclusione. Nel processo, l’imputata è stata difesa dall’avvocato Stefano Freilone, che ha sempre contestato con forza le accuse.
L’indagine ha rivelato dettagli scioccanti sul modo in cui la madre sfruttava la figlia. Gli scambi avvenivano attraverso i social media con numerosi clienti in diverse regioni d’Italia, con un’enfasi particolare su Piemonte ed Emilia Romagna. La madre offriva la giovane all’interno della propria abitazione ma anche in viaggi in auto in varie città.
Un elemento controverso di questo caso è il fatto che la figlia, nonostante essere stata vittima di sfruttamento, sia tornata a vivere con la madre. Inoltre, la giovane non si è costituita parte civile nel procedimento giudiziario. Questa situazione complessa solleva domande sulla dinamica tra madre e figlia e sulla volontà della vittima di testimoniare contro la propria famiglia.
Dopo la lettura della sentenza, l’avvocato Freilone ha annunciato che aspetterà le motivazioni della sentenza prima di presentare un ricorso alla Corte d’Appello. Questo indica che la battaglia legale è ancora lungi dall’essere conclusa e che ci saranno ulteriori sviluppi in questo caso.
Roberto Mirabile, presidente della Caramella Buona, che si è costituita parte civile al processo, ha affermato: “Non esistono giustificazioni per questa madre. Se proprio voleva vendere qualcosa a uomini pervertiti, da condannare, almeno avesse venduto se stessa senza coinvolgere la figlia minorenne, le cui immagini ora circolano nel mondo senza regole del web, con danni impensabili per la minore”.
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