Attualità

Caso Cecchettin: la sentenza Turetta e il dibattito sulla crudeltà

La Corte d’Assise di Venezia ha condannato Filippo Turetta all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Cecchettin, la giovane uccisa con 75 coltellate nel novembre 2023. La sentenza, accompagnata da 149 pagine di motivazioni, ha confermato le accuse di omicidio volontario aggravato, sequestro di persona, porto d’armi e occultamento di cadavere. Tuttavia, i giudici non hanno attribuito l’aggravante della crudeltà, scatenando un acceso dibattito.

Nell’articolo pubblicato su Sky TG24, la psicoterapeuta Stefania Andreoli, curatrice della rubrica Scomodati, ha approfondito il significato giuridico di questa decisione, affiancata dal parere dell’avvocata penalista Annalisa Bernava e del procuratore capo di Tivoli, Francesco Menditto.

Il caso, uno dei femminicidi più seguiti in Italia, ha colpito per la brutalità e per il dolore della famiglia Cecchettin, con il padre Gino impegnato a sensibilizzare i giovani contro la violenza di genere.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha escluso l’aggravante della crudeltà poiché i 75 colpi inferti da Turetta non corrispondono alla definizione giuridica di overkilling, ovvero un accanimento volto a profanare o sfigurare il corpo della vittima. Annalisa Bernava spiega: “La Corte d’Assise ha negato il riconoscimento dell’aggravante della crudeltà perché nella condotta di Turetta non ha ravveduto un atteggiamento tale da valicare i limiti di un fatto di per sé umanamente già riprovevole, ossia l’omicidio di una persona”. I filmati delle telecamere di videosorveglianza, analizzati durante il processo, mostrano un’azione rapida e disorganizzata, non finalizzata a infliggere sofferenza ulteriore.

Bernava aggiunge: “Dalle risultanze processuali e in particolare dalla visione dei filmati estrapolati dalle telecamere di videosorveglianza, non si evince che l’azione omicidiaria abbia ricalcato un atteggiamento di overkilling”. La sentenza, da pagina 130, chiarisce che Turetta agì senza competenza: “Non essendo un killer di professione e non sapendo come si uccide, come usare il coltello, quanto una persona offesa da arma bianca ci metta a morire, non sa quali siano i fendenti fatali e quali no”.

Un termine frainteso

Il concetto di crudeltà in ambito legale differisce dalla percezione comune. Andreoli sottolinea che titoli come “Le 75 coltellate a Giulia non furono crudeltà ma inesperienza” hanno alimentato fraintendimenti. “La Corte ha inteso dire che è ragionevole presumere che se l’imputato avesse saputo come si pugnala a morte una persona uccidendola con un solo colpo, non ne avrebbe sferrati 75”, precisa Bernava. In termini giuridici, la crudeltà implica un’intenzione di infliggere dolore o umiliazione oltre l’atto omicida, come colpi post mortem. Turetta, invece, ha compiuto un gesto “inetto”, mirando a uccidere senza accanirsi ulteriormente.

Questa distinzione, però, non attenua l’orrore. Andreoli scrive: “Ci fa stare meglio? Ma certo che no”. Tuttavia, invita a comprendere il linguaggio forense per evitare reazioni superficiali, spesso amplificate dai social media.

L’ergastolo e le aggravanti

Turetta ha ricevuto la pena massima prevista dal codice penale italiano. Bernava chiarisce: “Non scordiamo che Turetta è stato condannato all’ergastolo per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, posto in continuazione con i reati di sequestro di persona, porto d’armi ed occultamento del cadavere, che è la pena massima prevista dal nostro ordinamento”. L’aggravante della premeditazione, unita agli altri reati, ha reso l’ergastolo inevitabile.

Alla domanda se la mancata crudeltà abbia alleggerito la pena, Bernava risponde: “Gli fosse stata riconosciuta l’aggravante della crudeltà, probabilmente, poco e niente sarebbe cambiato: il nostro codice penale prevede che chi commette reato di omicidio venga condannato ad una pena non inferiore ad anni 21”. L’ergastolo scatta con una sola aggravante speciale, come la premeditazione, rendendo superflue ulteriori qualificazioni.

Il rischio della volgarità mediatica

Andreoli critica la narrazione sensazionalistica che ha accompagnato la sentenza. Titoli fuorvianti hanno trasformato un tecnicismo giuridico in un “boccone avvelenato” per il pubblico. “Prima di inventare il trend delle 75 coltellate su TikTok, credersi più competenti di un membro della Corte d’Assise, pubblicare roba per fare engagement, si poteva pensare”, scrive. La psicoterapeuta denuncia la volgarità di chi specula su un femminicidio per generare clic, senza approfondire il contesto legale.

Il termine volgarità, spiega, deriva dal latino vulgus, la plebe priva di cultura. Oggi, con l’accesso universale alle informazioni, nessuno dovrebbe cadere in semplificazioni banali. Andreoli invita a coltivare “l’eleganza del pensiero”, opponendosi a reazioni istintive che offuscano la comprensione della sentenza.

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